Approfondimenti

mercoledì 24 giugno 2015

58 L'Europa nell'Età dei Lumi



L’EUROPA NELL’ETÀ DEI LUMI

Gli illuministi non trascurarono di studiare le diverse forme di governo e le leggi che le società umane si sono date. Notevole importanza ebbe in questo campo il nobile Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu, autore di almeno due opere fondamentali per l’Illuminismo: le Lettere persiane del 1721 e lo Spirito delle leggi del 1748.

Montesquieu

Nella prima Montesquieu fa parlare due Persiani che, osservando con occhi stupiti la realtà europea alla quale sono estranei, ne fanno risaltare le follie e le storture; così l’autore ha modo di prendersela con il papa e con il clero, con ogni forma di dispotismo e con il celibato ecclesiastico, può dichiararsi favorevole al divorzio e alla tolleranza religiosa, e riflettere su come far fiorire il commercio e l’agricoltura, in nome di una morale tutta terrena, fondata sulla ragione.
Nella seconda opera Montesquieu studia la società da scienziato, cioè applicando ad essa il metodo sperimentale usato nelle scienze naturali, rinunciando al ricorso a Dio per spiegare il funzionamento di leggi, istituzioni, usi e costumi. Così facendo arriva a dire che i governi esistenti sono solo di tre tipi fondamentali (repubblica, monarchia, dispotismo) e che questi governi sono il risultato di cause fisiche e morali: il clima, la natura del suolo, i mezzi di sostentamento dei popoli, la quantità di popolazione, la religione, gli esempi delle cose passate, i costumi, eccetera..
In quest’opera l’illuminista cerca di evitare ogni giudizio su ciò che descrive, ma in diverse parti non riesce a nascondere la sua avversione alla schiavitù, all’Inquisizione e soprattutto al dispotismo, presentato come il governo in cui «un solo uomo, senza legge e senza regole, trascina tutto e tutti dietro la sua volontà e i suoi capricci». Da queste osservazioni Montesquieu arriva a formulare una regola, che diventerà la base delle democrazie moderne, quella della separazione dei tre poteri: quello di governare e amministrare lo Stato (potere esecutivo), quello di legiferare (potere legislativo) e quello di giudicare (potere giudiziario). Finché una sola persona (o uno stesso gruppo di persone) avesse avuto questi tre poteri, non sarebbe stato possibile nessun controllo sulle sue azioni e l’organizzazione dello Stato non sarebbe andata a vantaggio di tutti i cittadini.

I due libri più importanti di Montesquieu

Gli illuministi stamparono libri, giornali, riviste e sentirono per questo molto forte il bisogno di difendere la libertà di stampa, cioè la possibilità di pubblicare le proprie idee e di farle così conoscere a un pubblico più vasto; spesso però esisteva una rigida censura, cioè un controllo su quanto veniva pubblicato, e molte opere erano stampate e circolavano di nascosto.

Un dipinto di Charles Gabriel Lemonnier, raffigurante degli illuministi intenti a leggere 
un’opera di Voltaire

Alcuni re e principi scelsero come consiglieri alcuni dei più famosi illuministi e attuarono una serie di riforme ispirate alle loro idee, senza però rinunciare al loro potere assoluto: si parla perciò di assolutismo illuminato. I rapporti tra i sovrani e i filosofi illuministi non furono però facili, perché i filosofi progettavano trasformazioni profonde, mentre i re miravano sì ad amministrare in modo più efficiente lo Stato, ma anche a rendere più saldo il loro potere.
Le riforme dei sovrani illuminati si attuarono tra gli anni Quaranta e Ottanta del Settecento. Il fenomeno si registrò in numerosi Stati europei: nell’impero d’Austria con Maria Teresa d’Asburgo, nella Prussia di Federico II, nella Russia di Caterina II, nel Portogallo, in Spagna, in Danimarca, in Polonia, in alcuni Stati italiani. Non ne furono coinvolte né la Gran Bretagna (che non aveva una forma di governo assolutistico), né la Francia (dove, al contrario, l’assolutismo impedì anche i provvedimenti fiscali ed economici più urgenti).

Da sinistra: Maria Teresa d’Austria, Federico II di Prussia, Caterina II di Russia

In Austria, in Russia e in Prussia le riforme eliminarono quanto rimaneva della società feudale e limitarono il potere della Chiesa nei Paesi cattolici: qui si misero sotto controllo i tribunali ecclesiastici, vennero soppresse alcune immunità che spettavano al clero e il diritto d’asilo che ancora valeva negli edifici della Chiesa, i beni di chiese e abbazie vennero tassati e la censura fu tolta ai tribunali ecclesiastici ed assegnata direttamente allo Stato. Esso ampliò l’istruzione universitaria e secondaria, per sottrarre ai gesuiti il controllo quasi monopolistico che essi avevano sull’educazione: i gesuiti, infatti, gestivano un’amplissima rete di collegi e costituivano un ordine potente e temuto. Essi vennero allontanati da molti Stati europei e nel 1773 lo stesso papa soppresse l’ordine (che venne ristabilito nel 1814).
I sovrani illuminati riformarono l’amministrazione dello stato, creando strumenti più efficienti per controllare il territorio: furono ad esempio creati i primi catasti, che registravano la proprietà delle terre in tutto lo Stato.

Una mappa catastale del Granducato di Toscana

Nel corso del Settecento le grandi potenze rimasero l’Inghilterra, la Francia, l’Austria e la Russia.

Nella cartina l’Europa a metà del XVIII secolo

 Questi stati furono spesso in guerra gli uni contro gli altri per la supremazia in Europa. Infatti il secolo si aprì con la guerra di Successione spagnola (1701-1713): il re spagnolo Carlo II era privo di eredi e la Francia pensò che fosse il momento di riunire in una sola persona la corona francese e quella spagnola. Al termine della guerra la Francia ottenne la corona di Spagna per il suo candidato Filippo d’Angiò, pronipote di Luigi XIV, con la clausola però che Madrid e Parigi non fossero unite in un unico regno. Filippo d’Angiò prese il nome di Filippo V di Spagna e con lui iniziava la dinastia dei Borbone di Spagna, la stessa che siede sul trono ancora oggi.

Filippo V di Borbone

La vera trionfatrice della guerra di Successione spagnola fu però l’Inghilterra, che conquistò terre in America e nel Mediterraneo e acquisì diritti monopolistici nella gestione dei traffici transoceanici: il predominio marittimo inglese ha qui la sua origine.
La Spagna, invece, con questo conflitto perse tutti i suoi domini europei esterni alla penisola iberica (mantenne comunque i possedimenti in America e nelle Filippine) e da grande potenza imperiale si ridusse a Stato di medie dimensioni.

Un episodio della guerra di Successione spagnola in un dipinto di Jean Alaux

La guerra di Successione spagnola permise all’Austria asburgica di diventare una formidabile potenza militare, proiettata sia verso oriente (dove pose fine all’espansionismo dei Turchi, che furono costretti a cedere territori in Serbia e in Romania) sia verso occidente: per esempio l’Austria subentrò alla Spagna nel dominio del Ducato di Milano, del regno di Sardegna e di quello di Napoli, mentre i Savoia ottennero la corona di Sicilia e alcuni territori in Piemonte.
La Russia entrò nel Settecento a pieno titolo tra le grandi potenze europee, in particolare con Pietro I Romanov detto Pietro il Grande, che regnò dal 1682 al 1725, e poi con Caterina II (regnante dal 1762 al 1796 – ma gli storici non sono concordi nel riconoscere la sua importanza); la potenza russa aumentò a spese della Svezia, che iniziò il suo declino e perse territori sia nei confronti della Russia, sia della Prussia.

Pietro I il Grande in un ritratto di Paul Delaroche

Quest’ultima fu la nuova potenza che emerse nell’Europa centro-orientale nel corso del Settecento; il regno di Prussia, guidato dalla dinastia reale degli Hohenzollern, feudatari dell’Impero, comprendeva territori all’interno dell’Impero Germanico (il Brandeburgo) e anche all’esterno (la Prussia propriamente detta). La potenza prussiana aumentò nel corso del XVIII secolo, in particolare sotto il regno di Federico II il Grande (1740-1786), grazie alle riforme amministrative e militari introdotte dai re e alle guerre; quella di Successione polacca (1733-1738) e quella di Successione austriaca (1740-1748) permisero alla Prussia di raddoppiare quasi il territorio e di diventare uno degli Stati militarmente più forti in Europa.

Federico II di Prussia in un ritratto di Anton Graff

L’Impero Ottomano, che nel 1699 aveva perso l’Ungheria assorbita dall’Impero d’Austria, continuò per tutto il Settecento il suo declino.
Nella seconda metà del Settecento un’altra guerra venne combattuta in Europa: quella dei Sette anni, tra il 1756 e il 1763. Qualche storico la chiama “la prima guerra mondiale”, perché fu il primo conflitto in cui alcuni Stati europei si scontrarono non solo sul territorio europeo, ma anche sugli oceani e nei continenti extraeuropei: in più le motivazioni della guerra furono dichiaratamente mercantili e commerciali ed evidenziarono un fenomeno (quello del colonialismo), che porterà successivamente ad altri grandi conflitti. Teatri di guerra furono dunque non solo l’Europa (dove la Prussia conservò le sue posizioni), ma anche l’America e il subcontinente indiano, dove l’Inghilterra sottrasse a Francia e Spagna importanti spazi coloniali: la Francia dovette abbandonare quasi completamente l’America settentrionale e l’India, la Spagna perse la Florida, in cambio della Louisiana.

Una battaglia della guerra dei Sette anni in un dipinto di Richard Knötel

Nel Settecento l’Italia rimase in una situazione di dipendenza dalle potenze europee e in particolare dall’Austria: si è già detto che in seguito alla guerra di Successione spagnola gli austriaci subentrarono agli spagnoli nel Ducato di Milano, a Napoli, in Sardegna, a Mantova.
Gli unici due Stati che conservarono una certa importanza politica furono la Repubblica di Venezia (che però era in declino) e il ducato Sabaudo, che nel 1720 diventò Regno di Sardegna: i Savoia infatti avevano già ottenuto il titolo di re nel 1713, quando dopo la guerra di Successione spagnola Filippo V di Spagna cedette loro la Sicilia, mentre nel 1718 accettarono dall’Austria la proposta di cedere la Sicilia in cambio della Sardegna. Vittorio Amedeo II di Savoia ottenne il titolo di re del Regno di Sardegna nel 1720, anche se il centro dello Stato era il Piemonte e la capitale era Torino.
Per il neonato Regno di Sardegna fu importante l’alleanza con l’Inghilterra, la quale da una parte voleva fare del Piemonte un argine al dominio degli Asburgo in Italia, dall’altra provocò un enorme flusso di merci tra le isole britanniche e la nostra penisola in entrambe le direzioni.

Maria Giovanna Clementi, Ritratto di Vittorio Amedeo II re di Sardegna

Anche in Italia vennero realizzate diverse riforme legate al diffondersi dell’Illuminismo, soprattutto nei territori austriaci o legati all’Austria: nel ducato di Milano, che dipendeva direttamente dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria, le riforme vennero introdotte per iniziativa del figlio di lei, Giuseppe II; nel granducato di Toscana per azione del granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo, secondogenito maschio dell’imperatrice Maria Teresa. Lo Stato della Chiesa non conobbe alcuna riforma.

Pietro Leopoldo granduca di Toscana (a sinistra) assieme al fratello l’imperatore Giuseppe II i
n un dipinto di Pompeo Batoni del 1769

Le riforme attuate nei diversi Stati italiani, con maggiore o minore forza ed efficacia, riguardarono specialmente il settore economico (introduzione di nuove piante come la patata nell’agricoltura, lavori di bonifica e di irrigazione, liberalizzazione dei commerci), l’amministrazione dello stato (scioglimento delle corporazioni medievali, abolizione della feudalità, stesura di un catasto), l’insegnamento (apertura di scuole elementari, soppressione delle scuole dei gesuiti), la politica ecclesiastica (soppressione di conventi, limitazione dei privilegi del clero) e la giustizia: in questo settore il granducato di Toscana si distinse per  la promulgazione nel 1786 del codice penale, il primo in Italia a carattere moderno. Esso accolse la lezione del Beccaria e abolì la tortura, la pena di morte (sostituita con il carcere a vita), la confisca dei beni del condannato; sancì l’obbligo della motivazione delle sentenze e cancellò il crimine di lesa maestà. Le grandi novità di questa riforma della giustizia convissero accanto a elementi di arretratezza: non furono depenalizzati i reati di eresia, sacrilegio, sortilegio, bestemmia; severissime erano le pene per reati sessuali e per quelli relativi alla famiglia (adulterio, incesto, stupro, bigamia); rimasero tra le punizioni la frusta pubblica, la gogna, le staffilate (cioè l’essere battuti con uno staffile, una lunga e robusta frusta di cuoio).

Illustrazioni raffiguranti un uomo alla gogna e un uomo frustato pubblicamente


Se vuoi ascoltare / vedere questa lezione, clicca sul link seguente:
L'Europa nell'Età dei Lumi

venerdì 19 giugno 2015

57 L'Illuminismo



L’ILLUMINISMO

Nel Settecento si sviluppò in Europa un movimento di pensiero che viene chiamato Illuminismo, in quanto il lume della ragione umana avrebbe dovuto guidare gli uomini nelle loro vite, scacciando il buio dell’ignoranza, che è la causa di tutti i mali. Gli illuministi (cioè i sostenitori dell’Illuminismo) sostenevano infatti la necessità di diffondere l’istruzione, poiché essa sola avrebbe permesso il trionfo della ragione, e si dedicarono alla stesura di opere di divulgazione scientifica.
Tra queste va considerata in particolare una grande Encyclopédie realizzata dagli illuministi francesi: il suo titolo completo era Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri e voleva raccogliere le conoscenze umane in ogni settore. Nacque come traduzione di un’opera inglese del 1728, di grande successo in Inghilterra, ma Denis Diderot, che aveva avuto l’incarico dall’editore della traduzione, ebbe l’idea, assieme all’amico Jean le Rond D’Alembert, di abbandonare la semplice traduzione e di realizzare piuttosto un’opera più ampia e completamente nuova.

Frontespizio del primo volume dell’Encyclopédie

L’Enciclopedia venne pubblicata tra il 1751 e il 1765 (più alcuni supplementi negli anni Settanta), scritta da più di 160 collaboratori: nell’insieme risultò formata da 72.000 voci, 25.000 tavole illustrative e 24 volumi. Ebbe un successo enorme, soprattutto tra la borghesia: la prima edizione, terminata nel 1772, vendette circa 4.000 copie; prima del 1789 per l’Europa ne circolavano 6 edizioni (comprese le traduzioni, i rifacimenti e gli ampliamenti) per un totale di 25.000 copie.

Una tavola dell’Encyclopédie sulla panificazione: la rivalutazione del lavoro manuale fu tra gli obiettivi degli enciclopedisti

Come disse Diderot, lo scopo dell’Enciclopedia era quello di mutare «il modo di pensare comune» e per far questo bisognava lottare contro tutti i pregiudizi esistenti: così gli enciclopedisti predicarono una morale tutta terrena e che non guardava alla religione, insinuarono dubbi sull’ispirazione divina della Bibbia, rivendicarono la libertà di parola, attaccarono i gesuiti, lodarono la tolleranza, affermarono che il potere è legittimo solo se consentito dai governati, condannarono il fanatismo religioso, auspicarono radicali riforme economiche. Naturalmente furono attaccati da molte parti: dai gesuiti e dallo stesso pontefice, dal parlamento di Parigi e dal re. Ma favorevoli ad essi si dimostrarono alcuni alti funzionari e la favorita del re, la famosa Madame de Pompadour.
L’Enciclopedia ebbe così una vita editoriale difficile e, consapevoli di ciò, gli enciclopedisti cercarono di cautelarsi dagli attacchi con una serie di accorgimenti, come quello di inserire alcune delle idee più rivoluzionarie negli articoli dedicati ad argomenti minori, tali da non attirare l’attenzione dei censori.

Doppia tavola illustrativa dell’Encyclopédie dedicata alla fabbricazione delle corde

Gli illuministi ritenevano che grazie alla ragione vi sarebbe stato un continuo progresso (miglioramento) nelle condizioni dell’umanità. L’idea di progresso era nuova per gli europei: nell’Antichità si pensava piuttosto che le condizioni di vita fossero andate peggiorando dopo che c’era stato un passato felice (la mitica Età dell’oro), oppure che vi fosse un alternarsi di miglioramenti e peggioramenti; per la cultura cristiana i miglioramenti nella vita materiale non avevano importanza, poiché gli esseri umani dovevano preoccuparsi della vita spirituale e della salvezza eterna.
Gli illuministi si interessarono in particolare alle scienze della natura, che offrivano leggi universali e che quindi divennero un modello di metodo di ricerca: ma anche nella storia e nella politica gli illuministi pensavano di poter trovare leggi universali, in grado di spiegare le vicende storiche e l’organizzazione politica degli Stati.

Diderot (a sinistra) e D’Alembert, gli illuministi francesi dell’Encyclopédie

Seguendo la ragione e abbandonando pregiudizi e superstizioni – dicevano gli illuministi – gli uomini avrebbero potuto costruire una società giusta e ordinata, che non poteva non migliorare la vita umana. Essi criticarono il ricorso alla violenza e le pratiche pubbliche, ma anche i comportamenti privati contrari alla dignità umana. Per questo molti illuministi, tra cui l’italiano Pietro Verri, condannarono la tortura, che veniva usata negli interrogatori delle persone sospettate di qualche reato. Un altro italiano, Cesare Beccaria (nonno materno di Alessandro Manzoni, l’autore de I promessi sposi), criticò la pena di morte nella sua opera Dei delitti e delle pene (del 1764), che contribuì all’abolizione della pena capitale in Austria e in Toscana.

Cesare Beccaria

Gli illuministi sostennero la necessità di una fratellanza tra gli uomini, al di sopra delle differenze di religione, di razza e di modi di vivere. Perciò condannarono la guerra e la tratta degli schiavi e dimostrarono in generale un grande interesse per le civiltà diverse da quella europea.
L’Illuminismo fu un movimento laico, che lasciava uno spazio ridotto alla religione: per gli illuministi l’uomo doveva farsi guidare dalla ragione, non dalla religione, doveva cercare la verità, non accontentarsi semplicemente della verità rivelata dalla Bibbia. Alcuni illuministi erano deisti, cioè credevano nell’esistenza di un dio, che però non era il dio di nessuna religione particolare; secondo essi era un vantaggio fare a meno dei dogmi religiosi e ancor più dei preti, considerati perfidi ingannatori sempre pronti ad agitare per il proprio interesse lo spauracchio dell’inferno o quello della collera di Dio. Altri illuministi, invece, si limitavano a richiedere la purificazione del cristianesimo e della Chiesa da molte superstizione, mentre altri ancora erano materialisti e atei, cioè credevano solo in ciò che è tangibile e rifiutavano l’idea di qualsiasi dio. In tutti i casi ritenevano che ogni uomo dovesse potere seguire la propria religione e che ci dovesse essere tolleranza per tutti, compresi gli atei. Essi non credevano neppure nella stregoneria e criticarono i processi alle streghe, contribuendo alla loro definitiva scomparsa.

Jean Huber, Un dîner de philosophes (= Pranzo di filosofi), del 1772 circa ; tra i filosofi raffigurati quello con la mano alzata potrebbe essere Voltaire, scrittore e drammaturgo oltre che filosofo tra i principali dell’Illuminismo francese

La Chiesa cattolica condannò l’Illuminismo e ostacolò la pubblicazione delle opere degli illuministi, alcune delle quali vennero distrutte, come successe al testo di Helvétius, Sullo Spirito, del 1758; per due volte la Chiesa ottenne anche il sequestro dei volumi dell’Enciclopedia che erano già stati pubblicati.
La Chiesa però non aveva più il potere e il prestigio dei secoli precedenti e gli illuministi riuscirono ad evitare le persecuzioni che invece erano toccate agli eretici in passato, grazie alla protezione di re e principi. Spesso però non poterono diffondere le loro idee liberamente e i loro sostenitori furono talvolta costretti a riunirsi di nascosto, in associazioni segrete come la massoneria.

Cerimonia di iniziazione alla massoneria (1800 circa)

LE COSE FONDAMENTALI DA SAPERE

Nel Settecento in Europa si sviluppò l’Illuminismo, un movimento di pensiero secondo il quale gli uomini, seguendo la ragione, avrebbero potuto creare una società migliore: gli illuministi ritenevano che, grazie alla ragione, ci sarebbe stato un continuo progresso nelle condizioni di vita e si batterono per la diffusione dell’istruzione; essi pubblicarono perciò una grande Enciclopedia (dal 1751 al 1765), che raccoglieva tutte le conoscenze umane e che venne attaccata dalla censura e dalla Chiesa.
Gli illuministi sostenevano inoltre la fratellanza degli uomini, perciò erano contrari alla guerra, alla schiavitù, alla tortura e alla pensa di morte: in generale erano contrari a qualsiasi pratica (pubblica e privata) contraria alla dignità umana.

Gli uomini dovevano lasciarsi guidare dalla ragione e non dalla religione, spesso fondata su semplici superstizioni. Alcuni illuministi erano deisti ma non praticavano nessuna religione; altri erano atei.


APPROFONDIMENTI (li trovi nella barra a destra):
- Illuminismo e opera lirica



venerdì 5 giugno 2015

56 La società europea dell'Ancient Régime



LA SOCIETÀ EUROPEA DELL’ANCIEN RÉGIME

Il secolo XVIII si chiuse con un fatto di grande importanza per l’Europa e il mondo: la Rivoluzione francese del 1789. Fino a quella data la società era ancora, come nel Medioevo, rigidamente divisa in tre classi, chiamate ordini o stati, e questa composizione sociale viene chiamata Ancien Régime (= antico regime). Nascere allora in un ordine o in un altro non era cosa indifferente, poiché ogni ordine aveva obblighi e privilegi diversi, sicuramente non egualitari; cosicché le condizioni di vita di un individuo erano rigidamente stabilite dalla classe sociale alla quale apparteneva.

Disegno satirico ottocentesco sull’Ancien Régime

IL PRIMO STATO: IL CLERO

Il clero restava formalmente il primo ordine della società, l’ordine di coloro che avevano il compito di pregare, di implorare per gli uomini l’aiuto di Dio, di soccorrere i diseredati. Per queste sue funzioni il clero aveva sempre rivendicato la superiorità su chi aveva il compito di combattere (i nobili) e di lavorare (il popolo); tale superiorità spingeva gli uomini di Chiesa a rivendicare l’esenzione delle imposte, ma non sempre essi l’avevano ottenuta.
Malgrado nel Settecento il clero avesse in parte ottenuto un ridimensionamento del proprio ruolo (a causa del decadimento del papato e degli attacchi ideologici mossi dall’Illuminismo), rimaneva un ordine potente, soprattutto nei paesi cattolici, però al suo interno esistevano profonde differenze. Infatti coloro che ricoprivano le cariche principali all’interno della Chiesa (cardinali, vescovi, abati) formavano l’alto clero, avevano grandi rendite e molto potere, mentre tutti gli altri (i sacerdoti e i monaci e le monache semplici) costituivano il basso clero, non ricoprivano cariche importanti e non avevano né ricchezze né poteri. Questi ultimi erano assai più numerosi dei membri dell’alto clero e godevano di solito solo del prestigio sociale derivante dal loro ruolo religioso, generalmente tenuto in gran conto dal popolo.

Pietro Longhi, L’ordine sacerdotale (dipinto del XVIII secolo)

L’alto clero era formato soprattutto da membri della nobiltà, spesso di quella più antica e illustre: a volte proprio l’appartenenza a una famiglia di alto rango permetteva di essere messi a capo di una diocesi ricca e importante, senza il cursus honorum che caratterizzava un qualunque prelato. A chi aspirava a diventare vescovo era richiesta un’istruzione di livello universitario, anche se tale requisito non era indispensabile quando a sostituirlo c’erano altissimi natali; in genere comunque i vescovi rappresentavano un’élite della cultura, nella maggior parte di quella più tradizionalista, ma a volte anche di quella più moderna e aggiornata.

Ritratto del vescovo di Narni (dipinto del XVIII secolo)

Il basso clero si preparava dal punto di vista culturale e religioso nei seminari, che però erano in numero insufficiente, per cui non tutti potevano accedervi: la preparazione di costoro restava lacunosa e approssimativa, però non è corretto parlare di ignoranza dilagante, anche se a volte il problema poteva sussistere. Anche la provenienza sociale del basso clero non era infima come a volte si dice: in Francia, per esempio, il clero parrocchiale veniva reclutato tra la piccola e media borghesia cittadina: artigiani, mercanti, notai, avvocati e così via, tutta gente cioè che godeva di una relativa agiatezza e che poteva assicurare ai figli i mezzi necessari per mantenersi agli studi.

Ritratto di un prelato (secolo XVIII)

IL SECONDO STATO: LA NOBILTÀ

Pur costituendo il secondo stato, la nobiltà era in tutta Europa la classe superiore, anche se numericamente rappresentava una percentuale della popolazione che andava dall’1 all’8 per cento.

Dipinto di Luis Paret y Alcazar (seconda metà del secolo XVIII) raffigurante il re spagnolo Carlo III mentre mangia davanti alla sua corte; nel 1768 la nobiltà spagnola rappresentava quasi l’8% della popolazione ed era la più numerosa in Europa, pari a quella della Polonia

La Rivoluzione francese produsse un gran numero di scritti che presentavano i nobili come personaggi dotati di immense proprietà terriere, ricchissimi e dediti a un lusso sfrenato, immersi in divertimenti e passatempi più o meno condannabili (il gioco, le donne, la buona tavola), frivoli, ignoranti, intriganti, prepotenti, convinti di appartenere a una razza diversa, sfruttatori dei contadini, violenti, privilegiati senza alcuna giustificazione. Tutte caratteristiche sicuramente presenti nella nobiltà, ma che non completano il quadro generale di questa classe sociale: va considerato almeno che vi furono anche nobili privi di un favoloso patrimonio (formavano la cosiddetta «plebe nobiliare») e nobili istruiti e attratti dalle nuove idee dell’Illuminismo, o anche capaci di dare un proprio apporto a tale movimento culturale.

Stampa del 1763 raffigurante due spadaccini; il diritto di portare la spada costituiva una delle prerogative nobiliari più antiche e gelosamente conservate

Il potere dei nobili era comunque notevole: nell’Europa orientale (indicativamente quella a est del fiume Elba) essi godevano quasi completamente dei privilegi di origine feudale: per esempio controllavano la vita privata dei loro contadini, autorizzando o meno il loro matrimonio, in base solitamente a calcoli ispirati al criterio di non diminuire, anzi se possibile di aumentare, la manodopera a disposizione.
Ai nobili erano riservati i comandi militari, molte cariche di corte e il ruolo di governatori nelle province. L’aspirazione principale di un nobile era quella di vivere il più possibile a contatto del re (l’aveva ben capito Luigi XIV costruendo la reggia di Versailles), perché in questo modo si potevano ottenere incarichi e donazioni e quindi dei concreti vantaggi economici.

Un dipinto della scuola di Pietro Longhi raffigurante una famiglia nobile veneziana nella villa di campagna durante l’estate; l’entroterra veneto è ancora oggi ricchissimo di ville patrizie

Per sostenere le proprie entrate molti re misero in vendita i titoli nobiliari: questi potevano essere acquistati solo da borghesi arricchiti, i quali, in possesso di un titolo di conte, marchese o barone, potevano ottenere una carica pubblica, che conferisse prestigio e denaro. Questa usanza che era in vigore già da parecchi decenni modificò notevolmente la fisionomia della nobiltà del Settecento. Se la tradizione assegnava all’aristocratico il compito di difendere il re e la patria dai nemici esterni, va detto che nel XVIII secolo era assai esiguo il numero di famiglie che potevano vantare questa (com’era definita) «nobiltà di spada»; la stragrande maggioranza dei nobili era di origine relativamente recente (cinquecentesca e seicentesca) e proveniva da ambienti in cui, più che la spada, si maneggiava la penna e i libri di contabilità (e formava la cosiddetta «nobiltà di toga»).

Un gruppo di nobili inglesi in un’incisione colorata di R. Digton

IL TERZO STATO


Tutti coloro che non erano né nobili né ecclesiastici costituivano il Terzo Stato, il quale comprendeva due categorie ben distinte: da una parte la borghesia, dall’altra il popolo, il quale a sua volta metteva assieme persone socialmente assai diverse: i lavoratori delle città, i contadini delle campagne, gli emarginati di vario tipo.
Il numero dei borghesi era generalmente ristretto, più ampio negli stati dall’economia più fiorente, come le Fiandre, l’Inghilterra e alcune zone della Germania: anche se con il termine “borghesi” si indicavano categorie di persone piuttosto diverse da paese a paese, possiamo dire che erano considerati tali
- gli imprenditori (ossia coloro che esercitavano un’attività in proprio, sostanzialmente artigiani e commercianti, ma dalla seconda metà del Settecento anche industriali)
- i funzionari pubblici (cioè coloro che lavoravano per qualche settore dello stato)
- coloro che esercitavano una libera professione, come avvocati, notai, medici e, in certi casi, gli artisti di vario genere.


Mercanti russi in un’incisione del XVIII secolo

I borghesi avevano di solito un grande potere economico, ma scarso potere politico, a meno che non acquistassero un titolo nobiliare grazie alle loro ricchezze. Poiché vivevano in città, godevano di una certa autonomia, dato che le città avevano statuti diversi da quelli vigenti nelle campagne; così la vita economica cittadina era spesso decisa da una ristretta cerchia di borghesi, attraverso le corporazioni. Come nel Medioevo le corporazioni organizzavano la produzione dei diversi mestieri, controllavano la quantità e la qualità delle merci prodotte, avevano il monopolio sul mercato locale, cioè impedivano qualsiasi forma di concorrenza a loro non conveniente. Esse inoltre svolgevano una funzione sociale, poiché assicuravano l’assistenza, in caso di bisogno, alle vedove e agli orfani delle varie corporazioni.

Borghesi scozzesi del secolo XVIII

I lavoratori delle città erano coloro che lavoravano per i borghesi (nelle loro botteghe artigiane o nei loro traffici commerciali) o che svolgevano funzione di servi nelle loro case: per molti contadini un posto di domestico in città era una meta assai ambita, specialmente se si riusciva a entrare al servizio di persone facoltose e sebbene il lavoro spesso fosse assai pesante e, per le donne, fossero frequenti le insidie del padrone di casa. Questi lavoratori ricevevano un salario per il loro lavoro, ma non possedevano case o terreni e non veniva riconosciuto loro alcun diritto, cosicché non partecipavano alla vita pubblica. In caso di mancanza di lavoro o se commettevano qualche errore clamoroso, potevano essere “licenziati” e finivano con l’ingrossare le fila dei mendicanti e degli emarginati.

Londra nel Settecento (qui in una stampa d’epoca di William Hogarth) brulicava come tutte le grandi città europee di lavoratori addetti ai più svariati servizi

La situazione dei contadini nelle campagne era ancora peggiore: essi costituivano la stragrande maggioranza della popolazione, in una percentuale che andava dal 65 al 90 per cento. Sottoposti a diversi obblighi di origine feudale (comprese le corvées, che nell’Europa occidentale erano però state sostituite quasi ovunque da un tributo in denaro), i contadini non potevano in molti stati cambiare lavoro, né erano liberi di spostarsi dove volevano: se desideravano trasferirsi in un qualsiasi luogo, dovevano chiederne l’autorizzazione alle autorità e non sempre l’ottenevano; se fuggivano e venivano ripresi, potevano essere puniti a piacimento del signore; se commettevano un reato venivano giudicati, soprattutto nell’Europa orientale, dal loro signore (nell’Europa occidentale, invece, la funzione giudicante venne tolta ai nobili e affidata ai funzionari statali).

Contadini in un dipinto di Théobald Michau


Soprattutto i contadini dovevano versare tutta una serie di tributi, anche molto pesanti; questi tributi erano a favore non solo del signore locale, ma anche del clero e dello stato. Per esempio per i contadini soprattutto dell’Europa occidentale esisteva la decima, ossia un’imposta sui prodotti della terra, consistente nella decima parte di essi: inizialmente essa era destinata al clero perché provvedesse al suo mantenimento, alle spese per i riti religiosi e alla beneficenza, ma poi era passata anche nelle mani dei laici, nobili o non nobili (si chiamava decima infeudata).
Allo stato i contadini dovevano pagare imposte dirette (sulle persone e sulle terre) e imposte indirette (sui generi di consumo); inoltre lo stato pretendeva dai contadini il servizio militare, che era assai sgradito perché allontanava dal lavoro dei campi e causava povertà. Sgraditissimo era anche l’obbligo di fornire talvolta alloggio alle truppe, o svolgere attività di trasporto per l’esercito, o ancora fornire cavalli di cambio per i messaggeri addetti al servizio regio.

Famiglia di contadini



Se alcuni contadini riuscivano, per ragioni diverse, ad arricchirsi e a diventare proprietari delle terre su cui lavoravano, la maggioranza di essi viveva miseramente; la loro condizione di povertà e sottomissione era talmente radicata da abitudini secolari, che veniva considerata “normale” da essi stessi. L’analfabetismo pressoché totale dei contadini contribuiva a tenerli in tale situazione di inferiorità, anche se la rabbia che essi accumulavano giorno dopo giorno era sempre pronta ad esplodere, in varie forme: furti nei campi, svogliatezza nell’eseguire le corvées, violenze isolate, agitazioni, fughe dal feudo (erano frequenti in Russia), rivolte vere e proprie, soprattutto se fattori esterni quali una guerra o un’avversità atmosferica che provocasse carestia riuscivano a dare la spinta decisiva alla ribellione. In effetti numerose furono le rivolte nel Settecento provocate dalla miseria delle campagne; accadde - per fare due esempi - in Russia nel 1773 (rivolta di Pugačëv) e nella Repubblica di Venezia negli anni Ottanta-Novanta. Qui nel 1782 la fame spinse alla ribellione i contadini vicentini: un bracciante, condannato a dieci anni di carcere per aver partecipato all’assalto del granaio di un grande fittavolo, si espresse così durante il processo:
Veramente avevo qualche ribrezzo ad andarvi, temendo di fare una cosa che non convenisse, ma tale e tanta era la passione che mi accecava, vedendomi attorniato dalla moglie e dai figli che piangevano dalla fame né avevo di che contentarli, che finalmente presi una sacchetta sotto il braccio e me ne andai ancor io.

Pietro Longhi, La polenta; la carenza alimentare e lo spettro della fame furono tra le cause delle proteste contadine che investirono periodicamente le campagne europee nel XVIII secolo

Alcune famiglie contadine cercavano di guadagnare un po’ di denaro, lavorando per conto dei mercanti di città, per esempio dedicandosi a lavori di tessitura e di filatura. I borghesi si rivolgevano alla popolazione contadina, piuttosto che a quella di città, perché costituiva una manodopera più numerosa e meno costosa; in campagna si producevano soprattutto le stoffe meno pregiate, destinate al consumo locale o all’esportazione, in particolare verso l’America.

Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto, Filatrice



Ai margini della vita sociale c’erano infine gli emarginati, piuttosto numerosi sia in campagna, sia in città: erano i poverissimi, alcuni dei quali vagabondi e mendicanti, altri erano banditi, altri ancora si dedicavano ad attività illegali o considerate disonorevoli. Moltissime città europee emanarono nel Settecento leggi contro i mendicanti, al fine di scacciarli se erano forestieri, o di costringerli al lavoro o a soccorrerli se erano del luogo. Spesso queste leggi erano del tutto inutili, anche perché il numero dei medicanti era davvero alto: a Napoli nel 1764 pare ci fossero 40.000 mendicanti provenienti dalla provincia.

Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto, Mendicante

LA FAMIGLIA

Nel Settecento il ruolo della famiglia nella vita di un individuo era fondamentale.
Molto spesso i figli imparavano il lavoro dai genitori, lavorando con loro nei campi, o nelle botteghe artigiane, o nelle imprese commerciali (per esempio a bordo delle navi). In molte famiglie del Terzo Stato non esisteva altra forma di istruzione per i figli che quella impartita dai genitori.

Philippe Mercier, Giovane cucitrice; non solo le femmine, ma anche i maschi imparavano dai genitori o dai fratelli maggiori ciò che rientrava nei loro compiti di adulti

La solidarietà famigliare era forte: in caso di difficoltà erano i parenti che si prendevano cura degli anziani o di chi non era in grado di lavorare; in una situazione favorevole, ad esempio se un membro della famiglia raggiungeva una posizione importante, tutti ne ricevevano un aiuto economico o un interessamento a migliorare la propria condizione.
Il matrimonio era utilizzato per stabilire un legame tra due famiglie, a scopo politico o economico, perciò esso non era una scelta degli interessati, bensì un affare combinato dalle famiglie in base ai propri interessi. Ciò avveniva soprattutto tra le classi sociali superiori: in particolare se le finanze di un nobile non erano delle più floride, i suoi occhi finivano col posarsi su una donzella di ricca famiglia. Se poi questa famiglia non fosse propriamente di sangue blu, o se la ragazza non fosse una bellezza, non aveva importanza, poiché ciò che contava era il patrimonio che la sposa portava in dote. In Francia i matrimoni con persone di rango inferiore venivano indicati con l’espressione «concimare le proprie terre»: poco elegante, ma assai eloquente.

William Hogarth, Il contratto matrimoniale

Rispetto al Medioevo la composizione di una famiglia conobbe un cambiamento importante: sempre più (e soprattutto nell’Europa occidentale) si affermò la famiglia nucleare, cioè formata da genitori e figli non sposati. Al momento del matrimonio i figli di solito lasciavano la casa dei genitori e andavano a vivere per conto loro; ciò non significava interrompere i rapporti, a meno che i figli non si trasferissero molto lontano, magari nelle Americhe.
Il costume medievale della famiglia allargata durò più a lungo nell’Europa orientale: qui i figli rimanevano nella casa dei genitori anche dopo essersi sposati e avere avuto a loro volta dei figli.

Famiglia inglese benestante del XVIII secolo

LE COSE FONDAMENTALI DA SAPERE

La società dell’Età Moderna era divisa in tre stati: il clero, la nobiltà e il Terzo Stato.
Il clero a sua volta era diviso in alto clero (che era ricco e potente ed era formato da cardinali, vescovi e abati) e basso clero (formato da sacerdoti e monaci e monache, non era né ricco né potente, ma comunque tenuto in una certa considerazione dal popolo).
La nobiltà possedeva le terre, ambiva a vivere alla corte del re da cui poteva ricevere incarichi prestigiosi ed era dotata di grande potere. Si divideva in una “nobiltà di spada” di antica origine e una “nobiltà di toga”, che aveva acquistato un titolo nobiliare di recente.
Il Terzo Stato era formato dai borghesi (che economicamente potevano stare anche molto bene e aspiravano in questo caso ad acquistare un titolo nobiliare), dai lavoratori salariati delle città e dai contadini, i quali erano sottoposti ad obblighi feudali e vivevano generalmente nella miseria.
Numerosi erano anche i poverissimi, che vivevano ai margini della società.
Per tutti la famiglia aveva una grande importanza, in quanto essa forniva aiuto ai suoi membri, addestramento al lavoro e appoggio politico (se si trattava di una famiglia importante). Sempre più nel Settecento e nell’Europa occidentale si afferma la famiglia nucleare, cioè formata dai genitori e dai figli non sposati; quelli che si sposavano, lasciavano di solito la casa dei genitori.




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