L’ITALIA TRA ’500 E ’600
Dopo la formazione delle
Signorie, che avevano creato in Italia tanti Stati poco estesi e poco popolati,
la nostra penisola aveva vissuto la grande stagione del Rinascimento e un
periodo di prosperità economica e di pace. Ma già alla fine del Quattrocento
qualcosa comincia a cambiare: più volte eserciti prima francesi, poi spagnoli e
austriaci invadono l’Italia, occupandola e sfruttandola in vario modo. Segno
della debolezza militare e politica degli Stati italiani, ma anche della loro
floridezza economica.
Non è un caso che la lotta tra i
due personaggi che hanno maggiormente segnato la prima metà del Cinquecento
(ossia l’imperatore del Sacro Romano Impero di Germania, Carlo V, e il re di
Francia, Francesco I) si combatta in gran parte in Italia e per il controllo
dell’Italia. In particolare è al centro della contesa la città di Milano, non
solo perché è una base di enorme importanza strategica per il controllo
dell’intera penisola, ma anche per le grandi ricchezze che il territorio del
Ducato di Milano garantisce.
Carlo V (a sinistra) e Francesco I sono i dominatori dell’Europa nella
prima metà del Cinquecento
Nel contrasto tra debolezza
militare e politica e vivacità economica e culturale che contraddistingue
l’Italia del primo cinquantennio del Cinquecento, si assiste a continui
cambiamenti dei “padroni” dei vari Stati italiani: a volte il vincitore è
l’Impero, a volte la Francia.
Stretti tra questi due, gli
Italiani si distinguono per l’instabilità delle loro amicizie e alleanze, anche
nel bel mezzo di una guerra (come accade a Genova nel 1528) e per una certa
ambiguità politica, che nasce dal fatto di essere sempre più marginali
nell’ambito dell’Europa: è significativo l’atteggiamento di papa Paolo III nei
confronti di Carlo V: da una parte sente di doverlo appoggiare perché è un
cattolico che combatte i luterani, dall’altra lo teme e lo avversa per la sua
forte presenza in Italia.
Il papa Paolo III assieme ai nipoti Alessandro e Ottavio Farnese
(dipinto di Tiziano)
Ugualmente significativo è
l’atteggiamento di Venezia, che all’inizio del Cinquecento appare ancora
strategica per le vicende italiane ed europee, ma già verso il 1535 comincia a
disinteressarsi di ciò che accade nella penisola e nel continente, per
concentrarsi solo sui propri interessi. I quali, come avviene anche a Genova,
sono compromessi sempre più dall’espansione dei Turchi Ottomani nel
Mediterraneo.
Apoteosi di Venezia, di Paolo Veronese (particolare);
la grandezza
della città è testimoniata dalle numerose opere d’arte che celebrano i suoi fasti
All’interno di molti Stati
italiani, inoltre, la vita politica è controllata da una ristretta oligarchia e
da forti corporazioni, che si oppongono a qualsiasi innovazione e impediscono
ogni forma di concorrenza. Molte città italiane non si danno da fare per
cercare nuovi mercati, nuovi metodi di produzione, nuove rotte marinare (pur
non mancando di navigatori come Colombo e Caboto, che però devono cercare in
altri Stati i finanziamenti per i loro viaggi); i mercanti italiani si
dimostrano poco disponibili a investire in imprese rischiose e vengono per
questo tagliati fuori dall’economia europea, che si era enormemente aperta in
seguito alla scoperta del Nuovo Mondo.
Giovanni e Sebastiano Caboto (padre e figlio) viaggiarono per le corone
di Spagna e d’Inghilterra
A metà del ‘500 due avvenimenti
sono destinati a segnare i decenni successivi in Europa e quindi anche in
Italia:
1- nel 1555 Carlo V abdica e
divide in due parti il suo immenso impero: al figlio Filippo II vanno la
Spagna, i Paesi Bassi, i regni di Napoli, di Sicilia e di Sardegna, il Ducato
di Milano e i possedimenti americani e africani; al fratello Ferdinando vanno
l’Austria, la Boemia e l’Ungheria e il titolo di imperatore;
2- nel 1559 la pace di
Cateau-Cambrésis mette fine alla guerra tra Francia e Impero, che era ripresa
anche dopo l’abdicazione di Carlo V.
L’Italia dopo la pace di Cateau-Cambrésis
Questi due avvenimenti creano in
Italia una situazione destinata a durare fino all’inizio del Settecento, vale a
dire per un secolo e mezzo: è un lungo periodo che vede gli Stati italiani
liberi da guerre distruttive sul proprio territorio, ma che si accompagna anche
a un lento ma inesorabile declino economico.
Esso è legato al fatto che gran
parte dell’Italia si trova dominata dalla Spagna, un regno anch’esso avviato al
tramonto, a causa dei dissesti finanziari provocati dalle guerre, della
costante minaccia turca ai suoi possedimenti mediterranei e della mancanza di
strutture produttive interne, che si fece notare non appena la quantità di oro
e di argento proveniente dall’America cessa di affluire.
Gli Stati che sono rimasti
indipendenti si trovano inefficienti in confronto alla potenza spagnola,
incapaci di ogni moto di reazione e diventano, per ragioni di convenienza,
vassalli più o meno fedeli, più o meno sinceri di Filippo II.
Filippo II di Spagna ritratto dal Tiziano nel 1551
Per approfondire questo quadro,
vediamo ora la situazione nei principali Stati italiani nei due secoli qui
considerati.
L’ITALIA SPAGNOLA
Dopo la pace di Cateau-Cambrésis
la Spagna domina direttamente il Ducato di Milano, i regni di Napoli, di
Sicilia e di Sardegna e lo Stato dei Presidi, formato da alcuni porti
fortificati in Toscana.
Nei tre regni governano
altrettanti viceré, a Milano un governatore: tutti sono veri rappresentanti
dell’autorità regia spagnola e tendono a circondarsi di funzionari iberici,
escludendo gli italiani e soffocando ogni loro volontà politica.
Pianta di Milano e di altre città vicine (secolo XVIII)
Contemporaneamente, però, gli
spagnoli guardano alla nobiltà locale come alla propria naturale alleata:
perciò riservano ad essa esenzioni e privilegi fiscali, mentre non si curano
affatto del ceto medio e disprezzano totalmente il popolo minuto, ridotto alla
miseria più spaventosa, ma utilizzato talvolta, ove necessario, come massa
bellicosa da contrapporre alla nobiltà.
L’aspetto più catastrofico del
governo spagnolo in Italia è proprio la pressione fiscale, che favorisce le
classi privilegiate e grava pesantemente su quelle meno abbienti; nel 1647-1648
l’imposizione di nuove tasse fa scoppiare rivolte a Napoli e Palermo. Si tratta
di rivolte provocate dalla fame e non da precise rivendicazioni politiche, per
cui la Spagna ha facile gioco nel reprimerle: qualche impiccagione dei capi
ribelli, alcune opportune distribuzioni di grano e qualche modesta concessione
permettono a Madrid di tornare allo sfruttamento del Mezzogiorno d’Italia. Per
tutta la seconda metà del Seicento la pressione fiscale è insopportabile: nel
vicereame di Napoli una moltitudine di
mendicanti sopravvive chiedendo l’elemosina e alla fine del secolo, per non
gettare il Napoletano nel baratro, gli stessi viceré sono costretti a
respingere le continue richieste di denaro che giungono da Madrid e che hanno
contribuito non poco al declino economico dell’Italia meridionale.
Dipinto di Giuseppe Mazza del 1857 raffigurante il celebre capo dei
ribelli napoletani Masaniello
IL DUCATO DEL PIEMONTE
Le qualità di condottiero di
Emanuele Filiberto di Savoia, che combatte nel 1557 per Carlo V vincendo contro
i Francesi, permettono ai Savoia di ritornare in possesso del Ducato, su cui i
Francesi avanzavano delle pretese. Il Ducato sabaudo (diviso in due parti, una
al di qua delle Alpi, il Piemonte, una al di là, la Savoia) è nel 1559
devastato e immiserito dalle guerre.
La battaglia di San Quintino, nella quale Emanuele Filiberto si impose
come grande condottiero al servizio di Carlo V
Il giovane duca Emanuele
Filiberto riesce in vent’anni di governo (morì nel 1580 a 52 anni) a
trasformarlo e rinvigorirlo notevolmente: crea un’amministrazione di tipo
assolutistico, eliminando le assemblee di origine feudale e introducendone
altre di tipo parlamentare prese a modello dalla Francia. Crea un esercito
agguerrito, rinunciando quasi del tutto alle truppe mercenarie e introducendo
la leva obbligatoria per tutti gli uomini validi fra i 18 e i 50 anni. Appronta
un sistema di tassazioni dirette e indirette, pesantissime per la popolazione,
ma tali da far salire vertiginosamente le entrate fiscali e permettere al duca
di provvedere alle molte pubbliche necessità. Rafforza l’economia dello Stato
con investimenti e accorgimenti illuminati: lavori di bonifica e di
irrigazione, miglioramento delle vie di comunicazione, aiuti alle manifatture,
sfruttamento delle ricchezze minerarie in Valle d’Aosta.
Un dipinto del XVI secolo che ritrae Emanuele Filiberto in armatura da
parata
Alla sua morte il figlio Carlo
Emanuele I eredita uno stato trasformato e rinnovato: il nuovo duca ha solo 18
anni e non è accorto come il padre. Durante il suo lunghissimo governo (dal
1580 al 1630), dominato dallo spirito d’avventura e da sogni di gloria
impossibili, intraprende una serie di iniziative che non sempre giungono a buon
fine: si lega alla Spagna sposando la figlia di Filippo II, rende più unito il
suo ducato al di qua delle Alpi e lo amplia, perde qualche territorio in
Francia e poi anche in Italia (Pinerolo e Casale Monferrato, in Piemonte),
facendo in modo che la presenza francese in Italia diventi un pericolo per la
Spagna. Tanto più che Luigi XIV non perde occasione di intervenire nelle
faccende italiane, approfittando di ogni occasione per fiaccare l’eterno rivale
spagnolo e estendere i suoi possedimenti. Solo verso la fine del Seicento la
partecipazione a una coalizione antifrancese permette al duca Vittorio Amedeo
II di togliere alla Francia quei possedimenti di Pinerolo e Casale che
rappresentavano una spina nel fianco per i Savoia.
Carlo Emanuele I di Savoia
DUCATO E GRANDUCATO DI TOSCANA
Dopo un breve periodo
repubblicano (1527-1530) i Medici rientrano a Firenze, per merito delle truppe
di Carlo V. Nel 1532 Alessandro de’ Medici riceve dall’imperatore il titolo di
duca con diritto ereditario e nel 1536 accentua la sua dipendenza dall’impero
sposando Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo V.
Alessandro de’ Medici ritratto da Jacopo Pontorno
La sua vita dissoluta e i suoi
comportamenti da tiranno armano la mano di un lontano parente, Lorenzino de’
Medici, che lo uccide nel 1537. Nel caos che ne consegue Firenze chiama al
governo della città Cosimo de’ Medici, figlio del condottiero Giovanni dalle
Bande Nere.
Cosimo I opera per concentrare
nelle proprie mani tutto il potere e per rendere più omogeneo il territorio si
cui governa, eliminando le disparità esistenti tra Firenze e le città soggette.
Inoltre allarga i propri domini, annettendosi alcune fortezze presidiate dagli
imperiali e la città di Siena; infine riesce ad ottenere (prima dal papa, poi
dall’imperatore) il titolo di Granduca di Toscana, che gli dà una preminenza di
fronte agli altri principi italiani.
Cosimo de Medici ritratto da Agnolo Bronzino
Dopo l’abdicazione di Carlo V la
Toscana si trova legata alla Spagna di Filippo II e i successori di Cosimo I
cercano variamente di svincolarsi dal vassallaggio nei suoi confronti e di
accostarsi alla Francia: Ferdinando I de’ Medici, per esempio, dà in sposa al
re francese Enrico IV la propria nipote Maria de’ Medici. Però lo Stato mediceo
è destinato a lento ma inesorabile declino durante tutto il Seicento, finché
nel 1737 si spegne la dinastia dei Medici.
Maria de’ Medici in un ritratto di Pietro Facchetti del 1595
LO STATO PONTIFICIO
Lo Stato pontificio è nel
Cinquecento tra i più vasti d’Italia: alla fine del secolo si allarga
ulteriormente, inglobando il Ducato di Ferrara, allorché Alfonso II d’Este muore
senza lasciare eredi diretti (un membro collaterale della famiglia d’Este cerca
di rivendicare Ferrara, ma è costretto ad accontentarsi di Modena e Reggio
Emilia).
Roma, la capitale dello Stato
della Chiesa, conosce nel Cinquecento uno sviluppo straordinario: interi
quartieri vengono demoliti per far posto alla costruzione di nuovi edifici,
all’apertura di nuove strade, all’erezione di grandiosi monumenti; la città
assume proprio in questo periodo la fisionomia che poi conserverà nei secoli
successivi.
Roma nel 1549
Incisione del XVI secolo che ritrae papa Sisto V mentre discute con gli
architetti
l’erezione della Biblioteca Vaticana
L’impegno finanziario sostenuto
dai papi è altissimo: i pontefici ricorrono a prestiti di banchieri stranieri e
ancor più a una politica fiscale oppressiva, che spinge un gran numero di
sudditi (si parla di 25.000 persone) a diventare briganti. Il fenomeno
coinvolge non solo i poveri, ma persino alcuni nobili, insofferenti degli
eccessivi carichi fiscali papali.
Il banditismo nel Lazio è legato
anche alle frequenti carestie che scoppiano nello Stato della Chiesa e che
hanno la loro causa nell’abbandono di numerose terre agricole trasformate in
pascoli.
Briganti in un’incisione ottocentesca di Bartolomeo Pinelli
Nello stesso periodo i papi sono
impegnati a contenere la Riforma protestante e a sopprimere ogni posizione
considerata eretica, tramite il Sant’Uffizio, che ricorre spesso alla pena di
morte.
La decadenza dello Stato
pontificio, che ha perso gran parte del proprio prestigio internazionale, si
accentua nel Seicento, quando tutta la penisola è colpita da una grave crisi
economica.
LA REPUBBLICA DI GENOVA
La Repubblica di Genova si lega
all’Impero nel 1528, allorché Andrea Doria, comandante della flotta genovese al
servizio della Francia, passa inaspettatamente dalla parte di Carlo V; in
cambio ne ottiene la protezione e la garanzia del mantenimento del regime
repubblicano in città.
Da allora Genova (che era un
piccolo stato, abitato in tutto il suo territorio solo da 300.000 persone)
resta legata a lungo alle sorti del regno di Spagna: un legame utile ad
entrambe le parti. Infatti Genova offre agli Spagnoli sia il suo porto sicuro
(utile in particolare quando scoppierà la guerra contro i Paesi Bassi), sia la
sua potenza finanziaria, fondamentale per le dissestate finanze spagnole.
D’altra parte la Spagna offre a Genova una solida protezione politica e un
poderoso appoggio militare.
L’ammiraglio Andrea Doria in un ritratto di Sebastiano del Piombo (XVI
secolo)
LA REPUBBLICA DI VENEZIA
All’inizio del Cinquecento
Venezia guarda allarmata alle nuove rotte per l’oriente aperte dai portoghesi e
al pericolo rappresentato dai Turchi, che erano riusciti a togliere già da
alcuni decenni alla città lagunare una parte dei suoi traffici commerciali.
Nel corso del ‘500, però, Venezia
riesce a conservare il suo ruolo di città ricca e prestigiosa, sebbene non
quanto lo fosse in precedenza.
Dopo la pace di Cateau-Cambrésis
i suoi territori si estendono dall’Adda all’Isonzo, a buona parte dell’Istria e
della Dalmazia, delle isole Ionie, di alcune piazzeforti dell’Epiro e del
Peloponneso e delle isole di Candia (vale a dire Creta) e Cipro.
La costituzione veneziana,
incentrata sul doge (il simbolo della nazione), sul Maggior Consiglio (il
titolare della effettiva sovranità) e su una serie di magistrature create mano
a mano che nascono nuovi problemi, suscita ammirazione in tutta Europa.
Seduta del Maggior Consiglio a
Venezia in un dipinto di Joseph Heintz il giovane del 1678
Le ricchezze della classe
dominante sono indubbiamente dovute alle attività commerciali (per quanto
intaccate dalla crisi), ma anche allo sviluppo delle attività manifatturiere, che
fanno di Venezia uno dei centri “industriali” più operosi in Italia. Le
manifatture più sviluppate sono quelle tessili, delle costruzioni navali, del
sapone e quella tipografica.
Particolare di un dipinto del XVI secolo raffigurante i falegnami dell’Arsenale
di Venezia
che costruiscono i remi per le galere
Inoltre è nel Cinquecento che
cresce l’importanza della terraferma per la città lagunare. Di fronte alle
sempre maggiori difficoltà del commercio, molti veneziani decidono di ritirarsi
dagli affari e di investire cospicui capitali nell’acquisto di terre e nella
costruzione di palazzi e ville; inoltre nelle campagne vengono introdotte e
diffuse nuove colture e vengono avviate numerose opere di bonifica.
Malgrado questi elementi di
forza, Venezia conosce sul finire del secolo – come il resto dell’Italia –
l’inizio della decadenza economica, che si manifesta in modo particolare nel
1570 con la perdita di Cipro e nel 1669 con quella di Creta, entrambe
conquistate dai Turchi.
Veduta di Venezia di Joseph Heintz il giovane (secolo XVII)
LE COSE FONDAMENTALI DA SAPERE
Nel ‘500 l’Italia è ancora un
modello economico e culturale per il resto dell’Europa, ma poi, con l’abdicazione
di Carlo V e la pace di Cateau-Cambrésis (1559), incomincia per la penisola un
periodo di decadenza economica inarrestabile.
La Spagna domina su numerose
regioni italiane (il Ducato di Milano a nord e i Regni di Napoli, Sicilia,
Sardegna a sud) e il declino spagnolo si riversa inevitabilmente su questi
domini italiani, in cui la popolazione vive in condizioni di miseria e, se anche
spesso si ribella, viene facilmente domata dalla politica repressiva spagnola.
Gli altri Stati presenti nel
territorio della penisola sono troppo piccoli per contare veramente a livello europeo,
pur avendo alcuni di essi ancora alcuni elementi di forza; si distinguono in
particolare
- il Ducato del Piemonte retto
dalla dinastia dei Savoia in maniera assolutistica e che conosce uno sviluppo
economico che fa di questo Stato la parte più moderna dell’Italia;
- la Toscana dei Medici, che
ottiene il rango di Granducato, ma poi viene a trovarsi sempre più legata alla
Spagna e conosce un lento declino;
- lo Stato della Chiesa, che
opprime la popolazione con un carico fiscale enorme (alimentando il fenomeno
del banditismo) e che deve occuparsi di limitare l’estensione della Riforma
protestante; solo la città di Roma conosce una straordinaria fioritura
urbanistica;
- la Repubblica di Genova, legata
alla Spagna, da cui ricava protezione e ricchezza, poiché i banchieri genovesi
diventano i finanziatori delle imprese della monarchia spagnola;
- la Repubblica di Venezia, che
si estende sulla terraferma nel nord-est dell’Italia e conserva a lungo la sua potenza
economica, ma che, nello scontro con i Turchi che la privano di possedimenti e
di possibilità commerciali, è destinata a decadere.