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martedì 30 settembre 2014

35 La crisi economica del Trecento

LA CRISI ECONOMICA DEL TRECENTO

L’epidemia di peste e il crollo demografico aggravarono la crisi economica in corso, colpendo innanzitutto l’agricoltura, il settore che dava lavoro a una percentuale variabile tra l’80 e il 90% della popolazione: la produzione agricola diminuì, perché molte terre rimasero incolte per la morte o per la fuga dei contadini, e diminuì anche il rendimento delle sementi dei cereali (grano, segala, orzo). Molti terreni agricoli finirono nel migliore dei casi col diventare pascoli, nel peggiore boschi di betulle, faggi, carpini, nocciuoli e rovi e sterpaglie, in cui si diffusero lupi, orsi e cinghiali.

Due uomini si difendono da un orso (affresco della seconda metà del XV secolo nella Villa Borromeo di Oreno, in provincia di Monza)

La diminuzione della popolazione portò anche a una forte riduzione della richiesta di prodotti artigianali, mentre il commercio all’interno dell’Europa venne ostacolato dalle misure di emergenza prese per fermare l’epidemia, in particolare la quarantena. Perciò nel Trecento in Europa si ebbe un vero e proprio tracollo economico, cioè una crisi particolarmente grave.
La crisi aggravò le tensioni esistenti tra le diverse classi sociali. Nelle campagne le condizioni di vita dei contadini peggiorarono per le carestie e l’epidemia, perciò i contadini richiesero una diminuzione dei tributi da versare, ma i nobili non volevano perdere questi tributi, in un periodo in cui la crisi economica già riduceva le loro rendite. Scoppiarono perciò rivolte (in Francia nel 1358 e poi nel 1363-1384; in Inghilterra nel 1381), in cui i contadini assalivano i nobili isolati e le loro abitazioni, distruggendo e uccidendo. Queste rivolte scoppiavano d’improvviso, senza una preparazione e un’organizzazione, perciò furono di solito facilmente soffocate dai nobili, che sterminarono i contadini ribelli: dopo la rivolta francese del 1358, i nobili massacrarono circa 20.000 contadini.

La soppressione della rivolta popolare scoppiata a Parigi nel 1358 e passata alla storia con il termine di jacquerie, in quanto Jacques Bonhomme (= Giacomo Buonuomo) era il soprannome dispregiativo dato ai contadini dai nobili (miniatura del XV secolo)

Anche nelle città, dove molti lavoratori salariati rimasero senza lavoro e diversi artigiani videro un netto peggioramento delle loro condizioni, si ebbero rivolte: a Parigi nel 1356 e nel 1382, a Siena nel 1355, a Perugia nel 1371. Il popolo richiedeva miglioramenti delle proprie condizioni di lavoro, ma anche la possibilità di partecipare al potere. A Firenze, ad esempio, i Ciompi (gli artigiani che si occupavano della cardatura, che è una delle fasi di lavorazione della lana) furono a capo di una rivolta, che scoppiò nel 1378. Ad essa parteciparono molti salariati e alcuni artigiani delle Arti minori (fabbri, calzolai, fornai e altri), che di fatto erano escluse dal potere, strettamente in mano alle Arti maggiori (medici, speziali, giudici, notai, lanaioli, setaioli, pellicciai, cambiatori). I Ciompi avanzarono una serie di richieste, come l’eliminazione dei debiti dei lavoratori giornalieri, un diverso sistema tributario (volevano che le tasse fossero basate sui beni e non sulle persone), la distribuzione di cibo e la possibilità di costituire una propria corporazione per difendere i propri interessi. Le loro richieste furono in parte accolte, ma già nel 1382 il popolo grasso di Firenze abolì la corporazione dei Ciompi.

Il lanificio, dipinto di Mirabello Cavalori del XVI secolo al Palazzo Vecchio di Firenze

A causa della crisi, il numero dei poveri aumentò moltissimo: contadini fuggiti dalle campagne per le carestie, salariati rimasti senza lavoro, bambini, anziani o donne i cui parenti erano morti, si aggiunsero a coloro che già vivevano abitualmente di elemosina, come i ciechi o i paralitici, che non potevano svolgere alcun lavoro.
Molte città organizzarono distribuzioni gratuite di cibo nei periodi di carestia. Esse permisero di evitare le rivolte, che sarebbero potute scoppiare facilmente, se in città ci fossero stati troppi abitanti senza il necessario per vivere. Queste distribuzioni però spinsero molti contadini, fuggiti dalle campagne, a rifugiarsi in città, nella speranza di ricevere assistenza. Così crebbe notevolmente il fenomeno del vagabondaggio, tant’è vero che a metà del XIV secolo vi fu, in tutta Europa, una grande fioritura di leggi repressive contro questo fenomeno. Fu facile, poi, per molti vagabondi, diventare banditi.

La distribuzione del pane ai poveri, affresco del 1441 di Domenico di Bartolo nell’ex ospedale di Santa Maria della Scala a Siena

Sorsero anche delle confraternite, cioè delle associazioni di assistenza per i poveri o i malati, come quelle di San Martino e di Orsanmichele a Firenze. Esse distribuivano cibo e denaro ai poveri. Molti nobili e borghesi finanziavano queste confraternite e alcuni lasciavano loro una parte dei propri beni in eredità: proprio in occasione della grande peste del 1348 la confraternita di Orsanmichele ottenne il privilegio di vedere riconosciuti come validi tutti i testamenti a suo favore, contro il parere contrario di altri aspiranti all’eredità.

La compagnia religiosa di sant’Eligio, attiva nell’assistenza ai poveri, in un dipinto italiano del XV secolo

Dopo la fine della grande epidemia di peste, l’agricoltura riprese a svilupparsi, ma furono abbandonate le terre marginali, perché la popolazione era diminuita e quindi era calata la richiesta di prodotti alimentari. Così, ad esempio, l’uomo non intervenne per impedire che il Mare del Nord occupasse circa 2.000 km² di terreno dalla Germania all’Olanda, a causa delle tempeste che sfondarono le dighe costruite nei secoli precedenti.

Un’inondazione sulle coste del Mare del Nord (illustrazione del 1634)

Dato che non era più necessario coltivare tutte le terre a grano, e anche perché si capì che la produzione cerealicola non era più molto redditizia, molti terreni furono destinati ad altri usi. Alcuni furono utilizzati per seminare prodotti non alimentari, che servivano per le attività artigianali, come il lino, da cui si ricava una fibra tessile, o il guado e la robbia, due vegetali che servivano per tingere le stoffe rispettivamente di azzurro e di rosso. Alcune regioni si specializzarono nell’allevamento di ovini, soprattutto in Inghilterra e in Spagna, dove tra il XIV e il XV secolo il numero di pecore triplicò. L’allevamento di pecore forniva la lana necessaria per l’artigianato tessile, assai sviluppato in Inghilterra. Un altro settore artigianale che si sviluppò fu quello della produzione di stoffe di cotone e di fustagni (una stoffa particolarmente resistente a base di cotone), come avvenne in Germania e in Svizzera, che venivano rifornite di materia prima importata dal Nord Africa e dal Medio Oriente dai mercanti veneziani.

La bottega di un sarto in un affresco del XV secolo

A causa della peste e delle carestie vi era mancanza di manodopera (le persone in grado di svolgere un lavoro), sia nelle campagne, sia nelle città. Per questo motivo i grandi proprietari di terre (soprattutto signori feudali, o anche ricchi borghesi, particolarmente in Italia) non potevano trovare così facilmente contadini per le loro terre e furono costretti a darle in affitto a prezzi più ridotti (anche meno della metà), oppure a farle lavorare da salariati, concedendo loro un salario maggiore di quello che normalmente veniva dato prima della crisi. Infatti contadini e salariati, se non erano soddisfatti delle loro condizioni di lavoro, potevano facilmente trovare da un’altra parte terra e lavoro, dato che la manodopera era molto richiesta.
La disponibilità di terre favorì infatti le migrazioni: ad esempio a partire dal XV secolo in Italia si stabilirono contadini croati (in Molise) e albanesi (in tutta l’Italia meridionale), in fuga dall’avanzata dei Turchi nella penisola Balcanica.
Spesso i nobili cercarono di costringere i contadini a lavorare con gli stessi salari del periodo precedente, ma di solito non ci riuscirono e tra il XIV e il XV secolo, nella maggior parte dell’Europa occidentale, si ebbe un indebolimento del sistema feudale.

Una miniatura francese del XV secolo con la scena del pagamento degli affitti; i ceti più umili ebbero molte difficoltà a pagarsi un alloggio in città nel XIV secolo

Solo nel Quattrocento si ebbe nuovamente un incremento demografico, dapprima lento, poi (soprattutto nel Cinquecento) più rapido; si ricostruirono villaggi, se ne fondarono di nuovi e le terre marginali ripresero ad essere coltivate.
Nel corso del Quattrocento si ebbe anche una ripresa economica, che si verificò in tutta Europa. In Italia fu spesso favorita anche da interventi dello Stato: a Genova, ad esempio, fu creata nel 1408 la Casa di San Giorgio, una banca di Stato, e molte città presero provvedimenti che miravano a sostenete lo sviluppo delle attività artigianali e commerciali. Le grandi città, come Milano e Firenze, si specializzarono nella produzione di lusso, tra cui in particolare la lavorazione della seta e, a Venezia, la produzione di vetri, mosaici, arazzi e oggetti in oro.
La ripresa in Italia fu però assai meno forte di quella in atto in altre regioni europee. In molte città il grande potere delle corporazioni e di ristretti gruppi di mercanti e banchieri impedì che ci fosse un rinnovamento nella produzione e nel commercio. Benché le grandi città italiane nel Cinquecento fossero ancora tra i maggiori centri economici europei, l’Italia non aveva più quella posizione di primissimo piano che aveva avuto fino all’inizio del Trecento e la sua economia presentava molti segni di debolezza: alla fine del Cinquecento per l’Italia ebbe inizio un lunghissimo periodo di declino. L’Inghilterra e le Fiandre ebbero invece un forte sviluppo economico e divennero i nuovi centri dell’economia europea.

Un moderno tappeto, copiato su un arazzo fiammingo del XV secolo, quando per il Belgio cominciò la sua epoca d’oro



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