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martedì 30 settembre 2014

33 Il viaggio di Marco Polo

IL VIAGGIO DI MARCO POLO

La Via della Seta, che permetteva ai commercianti europei più intraprendenti di giungere nell’Asia centro-orientale per procurarsi merci preziose richieste dalle classi sociali più elevate, era stata interrotta o resa più difficile dalla presenza di varie popolazioni sempre in guerra. La conquista dei Mongoli di Gengis Khan delle terre attraversate da questa rotta mercantile portò alla ripresa dei traffici commerciali: i Mongoli, infatti, si mostrarono favorevoli ai commerci ed erano più tolleranti nei confronti degli stranieri, di qualunque religione essi fossero, rispetto ai Turchi che dominavano sul tratto iniziale del percorso. Così gli europei cercarono di aggirare l’ostacolo rappresentato dai Turchi, passando più a nord.
Dapprima la strada dell’Asia fu aperta dai missionari, inviati dai pontefici desiderosi di conoscere le genti che vi vivevano ed eventualmente di convertirli al Cristianesimo; missionari come Giovanni da Pian del Carpine, un frate francescano che nel 1246 giunse fino a Karakorum, in Mongolia, e che al suo ritorno in Europa scrisse una Storia dei Mongoli, che contribuì a creare un’immagine favorevole de Mongoli e del meraviglioso oriente.

Missionari francescani in Cina

Poi sulla Via della seta si misero i mercanti, in particolare i Veneziani, che già nell’Alto Medioevo avevano fatto della loro città un importante centro di traffici commerciali tra oriente e occidente. I Veneziani commerciavano merci di ogni tipo: sale e generi alimentari come grano, vino e olio; prodotti di lusso provenienti dall’Asia (seta, avorio, spezie) e destinati a nobili, vescovi e abati dell’Europa occidentale; materie prime (ferro, legname) e schiavi provenienti dall’Europa occidentale e venduti sui mercati dell’Impero Bizantino e dei paesi arabi.

La riva degli Schiavoni a Venezia (dipinto di Leandro Bassano)

I Veneziani erano formalmente sotto dominio bizantino, ma Bisanzio non era in grado di controllare i suoi possedimenti italiani e Venezia finì per diventare una città indipendente: aveva un proprio capo politico e militare (il doge), che governava con un Consiglio, di cui facevano parte i membri delle famiglie più potenti.
All’inizio del Basso Medioevo la ricchezza di Venezia aumentò: la città godeva di forti privilegi nell’Impero Bizantino, tra cui quello di non pagare a Bisanzio e in altri porti bizantini le tasse sulle merci, in cambio dell’aiuto prestato dalla flotta veneziana agli imperatori d’Oriente. Così la città lagunare fondò basi commerciali e conquistò terre lungo le coste dell’Adriatico (Istria, Dalmazia) e del Mediterraneo (Creta e altre isole); più tardi (XIV-XV secolo) estese i suoi domini nell’entroterra italiano.

Veduta di Venezia in una miniatura del Libro del Gran Khan, titolo del codice dell’opera di Marco Polo conservato alla Bodleian Library di Oxford

All’interno della città i contrasti furono meno forti rispetto a quanto avveniva altrove, perché le famiglie dei ricchi mercanti riuscirono a escludere dal potere gli altri cittadini, approvando leggi che limitavano la possibilità di entrare nel Gran Consiglio a chiunque non facesse parte delle famiglie già presenti in esso (Serrata del Gran Consiglio, 1297).

Ritratto di Marco Polo da giovane in un’edizione de Il Milione pubblicata a Norimberga nel 1477

Tra i mercanti veneziani vi erano i fratelli Matteo e Niccolò Polo, dediti a frequenti traffici con l’Oriente. Nel 1261, partiti dalla Crimea, raggiunsero il basso corso del Volga e si spinsero fino alla corte del gran khan Kubilai in Cina. Rientrati a Venezia nel 1269, ripartirono per l’Oriente nel novembre 1272, portando con sé il figlio di Niccolò, Marco, che aveva 17 anni: non era un’eccezione, a quell’epoca, portarsi dietro un ragazzo, anche se il viaggio era pericoloso, poiché l’esperienza diretta forniva ai figli un’educazione commerciale fondamentale.

I Polo in viaggio con una carovana di cammelli (dall’Atlante catalano del 1375)

Dopo un viaggio di 30 mesi attraverso l’Anatolia, la Mesopotamia, la Persia, il Pamir, il Turkestan Orientale e il deserto del Gobi, giunsero a Khanbalik (la “Città del Khan”, ossia Pechino), recando doni e messaggi da parte di papa Gregorio IX.

Niccolò e Matteo Polo consegnano al gran khan i doni del papa (dal Livre des Merveilles du Monde, XV secolo)

Conquistata la fiducia del gran khan Kubilai, il giovane Marco svolse importanti missioni diplomatiche e commerciali, che gli permisero di conoscere gran parte dell’Oriente, studiandone nei particolari i costumi e le civiltà.

I festeggiamenti offerti dal gran khan a Khanbalik (dal Livre des Merveilles du Monde, XV secolo)

Marco Polo fu subito colpito dalla differenza esistente tra le città europee e quelle cinesi: se in Europa le città contavano soltanto alcune migliaia di abitanti e, escluse le cattedrali e i palazzi dell’autorità pubblica, non vi erano edifici monumentali, in Cina i centri urbani arrivavano anche a milioni di persone, che vivevano fra giardini stupendi e deliziose pagode. Khanbalik era sfolgorante e meravigliosa: Kubilai ne aveva fatto il simbolo della potenza imperiale, impiegando somme enormi e quantità esorbitanti di contadini, tolti alla terra e costretti a lavori forzati per l’abbellimento della capitale. Marco Polo rimase abbagliato dall’impianto urbanistico regolare della città, traboccante di quartieri per artigiani e mercanti, di complessi religiosi e zone residenziali, di vaste e superbe architetture che sovrastavano le porte cittadine. La ricchezza della capitale attraeva ogni giorno frotte di commercianti e tonnellate di mercanzie: perle, gioielli, sete per le fabbriche di tessuti, generi di consumo di ogni specie. Merce che veniva pagata con banconote di vario taglio, garantite dal sigillo di Kubilai ed emesse dalla banca imperiale, fatte con materiale lavorato dalla corteccia del gelso.

Miniatura dal Livre des Merveilles du Monde (XV secolo)

Oltre a Pechino, Marco Polo visitò altre città cinesi. Come Hangzhou (o Quinsai), innervata di strade e canali che scorrevano fra più di un milione e mezzo di case e ville, che avevano giardini fiabeschi e statue e sculture deliziose, e che sorgevano tra templi sontuosi e monasteri imponenti. I viali di Hangzhou disponevano di un congegno di drenaggio delle acque piovane e luccicavano per le pietre e i mattoni con cui erano lastricati. Nei quartieri dei medici e degli astrologi si insegnava a leggere e scrivere; in ogni piazza si poteva trovare qualunque mercanzia (verdura e frutta, pesche gialle e bianche, pere, riso, spezie, particolarmente il pepe, carni di capriolo, cervo, daino, lepre, coniglio, pernice, fagiano, anatra, oca, capponi, pollame di ogni tipo e anche cane); nelle macellerie si reperivano tranci di vitello, bue, capretto e agnello e nelle pescherie pesci di mare e di lago, ingrassati dall’immondizia metropolitana gettata in acqua. Al pianoterra degli edifici sorgevano gioiellerie, vinerie e drogherie, mentre ai piani alti si trovavano le dimore di persone pacifiche ed educate, prive di invidie, rispettose delle donne.

Miniatura dal Livre des Merveilles du Monde (XV secolo)

Tutto sembrava perfetto e ordinato, ma a Marco Polo non sfuggì l’odio, sommesso però generalizzato, che si poteva leggere negli occhi delle persone, soprattutto quando per strada incrociavano le sentinelle e i soldati mongoli, ritenuti degli intrusi, degli occupanti illeciti, che avevano privato i Cinesi della loro legittima dinastia.
Viaggiando in lungo e in largo per le province cinesi, Marco Polo memorizzò tutto quanto lo colpì, in positivo e in negativo, di luoghi e persone: il sistema viario perfettamente organizzato, con le stazioni, dislocate a distanze regolari, per il riposo dei viandanti e il cambio della cavalcature. I collegamenti fluviali, necessari per percorrere le enormi distanze dell’impero, costruiti anch’essi ricorrendo al lavoro forzato di milioni di Cinesi, come il “Grande Canale” costruito tra il VI e il VII secolo, ma rimaneggiato tra XIII e XIV, che con i suoi 1794 chilometri di lunghezza collegava Pechino a Hangzhou ed era il corso artificiale più lungo del pianeta. E ancora le giravolte delle fontane, o i 15 chilometri di un viadotto adorno di statue leonine e di balaustre finemente scolpite, su cui potevano transitare dieci cavalli affiancati, o le case e le botteghe in legno costruite sui ponti che scavalcavano i grandi corsi d’acqua, come il Fiume Azzurro.

Miniatura dal Livre des Merveilles du Monde (XV secolo)

Vide regioni ricche di garofano aromatico e di cannella, di zenzero e di pesci lacustri, di perle pescate nei laghi, di turchese estratto dalle montagne, di coccodrilli che infestavano le paludi, ma da cui si estraeva un fiele ritenuto efficace per curare i morsi dei cani, le malattie dei bambini e le difficoltà delle puerpere nel partorire.
Conobbe popolazioni che avevano l’usanza di decorare la dentatura inferiore e superiore con un rivestimento dorato. Conobbe la morigeratezza delle Cinesi di buona famiglia, che non partecipavano a feste e balli, evitavano le baldorie e i discorsi spinti, non parlavano mai a sproposito e uscivano di tanto in tanto (per andare a pregare nel tempio o in visita ai parenti) accompagnate solo dalle madri e sempre con lo sguardo basso. Ma conobbe anche mariti o padri che offrivano per un incontro sessuale le mogli e le figlie agli stranieri di passaggio, perché ciò avrebbe aumentato i raccolti e portato felicità nelle famiglie; o genti che consideravano adatta al matrimonio quella ragazza che avesse avuto più rapporti sessuali; o dame di piacere, che si riconoscevano di lontano per i profumi intensi che usavano e che, colte ed esperte, intrattenevano i clienti non solo con carezze e lusinghe, ma anche con parole adatte a ciascun uomo.

Marco Polo ritratto da Giovanni Antonio da Varese in una sala di Palazzo Farnese a Caprarola (XVI secolo)

Nel 1290, quindici anni dopo il loro arrivo a Khanbalik, i Polo decisero che era giunto il momento del rimpatrio. Chiedere al gran khan il congedo, prima che egli lo avesse decretato, era rischioso, perché il sovrano poteva offendersi e reagire anche con il taglio della testa. Perciò bisognava che si offrisse un’occasione propizia e questa venne nel 1291, quando Kubilai chiese ai Polo di accompagnare la principessa Kokacin in sposa a un re persiano, che voleva imparentarsi con il gran khan.

I fratelli Polo ricevono dal gran khan una tavola d’oro come salvacondotto per il loro viaggio di ritorno

Nel 1292 i Polo salparono dal porto di Quanzhou con 14 navi e, approdati dopo 18 mesi di navigazione in Persia, consegnarono la principessa non al re che l’aveva richiesta, dato che nel frattempo era morto, ma al suo successore.

I Polo arrivano a Hormuz, nel Golfo Persico (dal Livre des Merveilles du Monde, XV secolo)

I Polo soggiornarono in Persia fino al febbraio 1294, poi ripartirono per Venezia, passando per via terra da Trebisonda sul Mar Nero, Costantinopoli e Negroponte, cioè l’isola greca di Eubea. Giunsero a casa nel 1295, dopo quattro anni di viaggio e diciassette passati in territori lontanissimi. Si raccontava (ma è una pura leggenda), che quando giunsero nella città lagunare, dove tutti li credevano morti da tempo, fossero vestiti di stracci e dall’andatura e dall’aspetto somigliassero a dei Tartari, cioè a dei Mongoli: nemmeno i familiari credevano alle loro storie, finché, invitati a un banchetto, i tre mercanti non si presentarono magnificamente vestiti con abiti di raso, damasco e velluto, e Marco fece cadere dagli stracci che indossava all’arrivo una grande quantità di pietre preziose.

L’isola al largo di Quesmaturan, abitata nel racconto di Marco Polo solo da uomini impegnati a commerciare (dal Livre des Merveilles du Monde)

Nella realtà la fortuna dei Polo era più modesta di quanto si cominciò a favoleggiare, sebbene la famiglia sia andata ad abitare in una casa (di cui non resta traccia) vicino al Ponte di Rialto, nel cuore della città: da alcuni documenti sappiamo che era una grande casa a più piani, con un grande “portego” (ossia un salone), dodici stanze, una cucina e, nel cortile, un pozzo e una latrina, utilizzati in comune.
Matteo e Niccolò vissero ancora qualche anno (morirono entrambi nei primi anni del Trecento, secondo altre fonti Niccolò morì prima del 1300), mentre Marco sposò la nobildonna Donata Badoer, da cui ebbe tre figlie, e proseguì per molti anni l’attività mercantile.
Pochi anni dopo il suo ritorno fu catturato in uno degli scontri navali tra Venezia e Genova, frequenti in quegli anni, e venne rinchiuso nelle carceri genovesi, da cui uscì nel 1299. Nei mesi di prigionia dettò a Rustichello da Pisa, un letterato compagno di carcere, il libro che noi oggi chiamiamo Il Milione, ma che nei codici più antichi ha altri titoli, come La descrizione del mondo, o simili.

Miniatura dal Livre des Merveilles du Monde (XV secolo)

Il libro è in parte una descrizione geografica dei luoghi visitati da Marco, in parte un resoconto storico. Procede con una impostazione oggettiva e reale, ma anche fresca e vivace, che mostra concretamente le novità e le meraviglie viste o apprese da marco in quell’Asia, che i suoi contemporanei popolavano di mostri e di portenti.

Miniatura dal Livre des Merveilles du Monde (XV secolo)

Rustichello scrisse i ricordi di Marco nella lingua d’oil, un francese antico che non solo vantava un’illustre tradizione letteraria, ma che era anche la parlata più diffusa allora e permetteva di raggiungere un pubblico internazionale, vasto e diversificato. Il libro ebbe una fortuna eccezionale, soprattutto presso i mercanti e gli scienziati (geografi, cartografi, etnologi); venne divulgato e riassunto in molti modi e in molte lingue (latino, toscano, veneto e così via), a testimonianza del suo successo. Il testo originario è andato perduto e noi oggi non sappiamo come fosse, dato che gli oltre 130 codici che ce lo tramandano sono molto diversi uno dall’altro; sappiamo però che è una mirabile sintesi di scienza e di avventura umana, tra le più significative della civiltà del Medioevo.
Marco Polo morì nella sua casa veneziana l'8 gennaio del 1324 all'età di quasi settant'anni.

Ritratto di Marco Polo da vecchio



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