Approfondimenti

Sport nel Medioevo: il golf (e il polo)

IL GOLF

In origine il golf non era uno sport prevalentemente elitario, come appare oggi, ma era giocato da persone appartenenti a ceti sociali differenti. Se i nobili lo praticavano nelle corti, in giardini ben curati o in appositi campi da gioco, le persone comuni utilizzavano qualunque spazio a disposizione: campi fangosi, terreni sassosi, o, in città, piazze trafficate e vie strette. Ma la tentazione di usare come campo da gioco le ampie navate delle cattedrali, con le loro alte volte e le pavimentazioni regolari, non tardò a farsi sentire. Naturalmente gli ecclesiastici non ne erano felici, come testimonia lo sfogo dell’arcivescovo di Londra Robert Braybrooke, che nel 1385 si lamentava nel veder ridotta a campo di battaglia la superba cattedrale di Saint Paul e condannava senza mezzi termini quegli sconsiderati che giocavano senza ritegno fuori e dentro la chiesa, provocando con i loro incauti tiri gravi danni alle vetrate e alle sculture e mettendo in pericolo la loro stessa anima.

Illustrazione raffigurante la cattedrale di Saint Paul, a Londra (stampa realizzata da Wenceslaus Hollar, 1657)

Ma quando e come nacque il golf? Nelle praterie dell’Irlanda già in epoca precristiana le tribù gaeliche praticavano l’hurling: era uno sport di origine celtica, basato su rapidità e forza, praticato con una mazza (chiamata hurley) e una palla (sliotar).
Giochi simili si disputavano anche nelle Highlands scozzesi, dove avevano preso il nome di shinty (e di camánacht nella versione invernale), e a loro volta avevano influenzato il cammag giocato nell’isola di Man e il bandy inglese e gallese. Il mitico eroe celtico Cú Chulainn (protagonista del cosiddetto Ciclo dell’Ulster) era un giocatore eccezionale e anche in suo onore si svolgevano competizioni nelle principali festività, in particolare alla fine di ottobre, quando ricorreva il Samhain, o Capodanno celtico.

Miniatura del 1520-1530 da un Libro d’ore di produzione fiamminga attribuito all’atelier di Simon Bening, con quattro uomini impegnati in un gioco simile al golf

Nelle diverse varianti, questi antichi giochi celtici arrivavano a coinvolgere fino a centinaia di giocatori per partita e si disputavano in campi aperti, tra praterie, colline e persino paludi, cioè spazi delimitati da confini sommariamente definiti. Le mazze, leggermente ricurve a un’estremità, erano di solito realizzate in legno di frassino o noce, ma, pur di giocare, qualsiasi materiale di recupero poteva andare bene: a Uist, isola scozzese delle Ebridi, alla mancanza di alberi si supplì con fasci di gambi di alghe.
La palla, invece, era solitamente in legno oppure in osso e solo molto tardi si iniziò a utilizzare sfere in cuoio. L’obiettivo delle partite era quello di contendersi la palla tra giocatori e di scagliarla verso una meta delimitata da pali confitti nel terreno, servendosi dell’hurley; ma, sebbene la mazza fosse lo strumento principale del gioco, si potevano colpire con le mani o con i piedi sia la palla, sia gli avversari. Ne conseguiva che il gioco diventava una specie di mescolanza di golf, hockey su prato e lotta libera.

Dettaglio dal Libro d’ore della duchessa Adelaide di Borgogna (1460-65) in cui tre pastori praticano un gioco simile al golf

Il termine golf compare per la prima volta in un documento del 1457 firmato da Giacomo II di Scozia in cui si legge: «It is ordanyt and decreyt […] (th)at ye fut bawe and ye golf be utterly cryt done and not usyt», vale a dire «Si ordina e stabilisce che football e golf siano completamente banditi e non più praticati». Il decreto, ripetuto nel 1471 e nel 1491, si spiega con gli insuccessi militari degli scozzesi dei decenni precedenti. Più volte infatti l’esercito inglese aveva avuto la meglio su quello scozzese, grazie all’uso dei longbow, archi lunghi quanto e più di un uomo, che dal XIII secolo e per molto tempo avevano falcidiato i nemici sotto una pioggia di frecce: per esempio a Falkirk nel 1298 o a Neville’s Cross nel 1346. Deciso a spezzare l’egemonia degli inglesi, Giacomo II decise di combattere il nemico con le stesse armi, creando cioè reparti di arcieri scozzesi ben addestrati. Però il sovrano trovò che ad ostacolare il suo progetto di rinnovamento dell’esercito non erano questioni di ordine militare, strategico o economico, bensì proprio la pratica del gioco del golf: l’obiettivo dell’editto del 1457, infatti, era quello di eliminare ogni possibile fonte di distrazione, e soprattutto di infortunio, che potesse distogliere gli arcieri scozzesi dall’intenso e regolare allenamento necessario a mantenere la loro letale precisione e abilità in battaglia. Il golf era una di queste fonti di distrazione! Il decreto regio stabiliva, perciò, che palle e mazze venissero abbandonate, e che presso ogni parrocchia fossero realizzati almeno due bersagli utili all’addestramento con l’arco di tutti gli uomini abili.

Particolare di una vetrata della cattedrale di Gloucester (Regno Unito) raffigurante un giocatore di golf (1350 circa)

A noi può risultare strano che il golf, gioco pacifico e riflessivo, suscitasse infortuni e venisse accomunato al gioco del football: il fatto è che, ai suoi esordi, il golf era un gioco ben diverso dall’attuale. Le radici di questa disciplina, che si diffuse così largamente nelle isole britanniche, vanno ricercate in due sport praticati da secoli nel continente europeo: la soule à la crosse francese e il kolfspelen fiammingo.
La soule [vedi approfondimento su “le origini del calcio”] era praticata fin dal IX-X secolo belle regioni del Nord della Francia ed era un gioco di palla contesa senza esclusione di colpi da due squadre. Giocata per campi, boschi e piazze, ogni partita lasciava dietro di sé anche morti e feriti, tanto che più volte – ma inutilmente – era stata messa al bando dai sovrani francesi a partire dal 1261. Nella soule la palla poteva essere conquistata utilizzando mani e piedi, ma anche mazze e bastoni nella versione denominata à la crosse, cioè appunto con la mazza.

Il gioco del biliardo su terra, litografia di Henry René D’Allemagne (Parigi, 1903)

Che la soule fosse molto praticata ce lo dimostra un censimento delle attività imprenditoriali parigine voluto da Filippo IV di Francia per poter meglio tassare i suoi sudditi. Secondo questo censimento nel 1292 a Parigi erano attive 35 birrerie, 94 panetterie, 10 produttori di senape e 41 pescivendoli; ma anche 5 costruttori di balestre, 8 produttori di archi e 14 artigiani specializzati nella realizzazione di palle da gioco, nonché 3 botteghe in cui venivano prodotte mazze e stecche per la soule à la crosse e per i numerosi giochi da essa derivati, come il billart a terra, il cricket o l’hockey su prato.
La parola golf forse non era ancora nata, ma questo sport poteva già contare su estimatori illustri: Giovanna d’Évreux (1310-1371), regina consorte di Francia, terza moglie di re Carlo IV il Bello, era appassionata di un gioco che dalle descrizioni che ci sono rimaste appare molto simile al golf o all’hockey su prato: ella stessa vi si cimentava personalmente, utilizzando una raffinata mazza in argento.

Due pagine miniate dal Libro d’ore di Giovanna d’Évreux

Così, mentre da una parte le partite di soule à la crosse continuavano ad essere resse confuse e cruente, dall’altra si vennero a creare due differenti tecniche di gioco: nella prima si privilegiava la potenza, con colpi dati con il massimo vigore e tenendo le mazze con entrambe le mani; nella seconda era più importante la precisione e ciò portava ad affinare la tipologia delle mazze e le tecniche di tiro, che doveva essere accurato e preciso.
Vennero messe a punto anche due diverse modalità di gara: mentre nella crosse francese il gioco prevedeva la contesa della palla da parte di due squadre, nello spel metten kolve o colf fiammingo, vi era un solo team in campo che, colpendo la palla a più riprese, doveva coprire un percorso predefinito. Praticato in Olanda almeno dal XIII secolo, il colf era nato inizialmente in ambiente pastorale e proprio dalla forma dei vincastri utilizzati dai pastori per guidare il gregge nasce la particolare sagoma ricurva delle mazze utilizzate in questo sport, praticato tra i prati, sulle dune di sabbia delle terre basse e, d’inverno, lungo i corsi d’acqua ghiacciati. Come dimostra un divieto emanato nel 1297, anche il colf – termine che significa letteralmente «mazza» – era uno sport cruento, ma i danni provocati a cose e persone non derivavano da scontri diretti tra i giocatori, come nella soule, bensì dalla forza con cui si scagliavano le palle, che si trasformavano in veri e propri proiettili vaganti. Per questo motivo anche il colf venne bandito dalle città e dai centri abitati, ma ancora una volta senza molto successo.

I ragazzi Macdonald, di William Mosman (olio su tela del XVIII secolo)

Il forte legame che univa Olanda e Scozia – accomunate, oltre che da vivaci scambi commerciali, anche dall’odio per il nemico inglese -, insieme alle tradizioni sportive locali e alle influenze dei giochi praticati in Francia, ha probabilmente rappresentato il terreno fertile per quella contaminazione culturale da cui è nato il golf. Presso le banchine del porto di Edimburgo le navi fiamminghe scaricavano il loro carico di palline di cuoio riempite di piume bollite – le featheries – e tornavano in patria con casse cariche di mazze in legno e ferro, lavorate dagli abili artigiani scozzesi e richiestissime dai giocatori olandesi, che ne apprezzavano la raffinata fattura.
Giocato ancora senza «buche», tutto in superficie, il golf si diffuse rapidamente e, superata la stagione delle condanne, iniziò ad essere apprezzato anche dai sovrani scozzesi, tanto che, nel 1501, alla firma del trattato di pace con l’Inghilterra, l’allora re Giacomo IV Stuart (discendente diretto di quel Giacomo II che solo cinquant’anni prima si era battuto contro il diffondersi del temibile sport con la mazza) volle festeggiare il lieto evento con l’acquisto di bastoni e palline. Nei secoli seguenti la passione della corona scozzese per questo sport non fece che crescere: si disse che la regina Maria Stuart, nel febbraio del 1567, celebrò l’assassinio del marito traditore, lord Darnley, con una partita di golf.

Giocatori di golf su ghiaccio vicino a Harleem, olio su tavola di Adriaen van de Velde (1668)

Anche la penisola italiana può vantare una qualche parentela, se non una vera e propria paternità, con il gioco del golf. Fonti seicentesche raccontano di come, a partire dal XII secolo, nelle strade cittadine e nelle corti italiane si giocasse alla «pallamaglio». Nata probabilmente nella Napoli angioina e diffusasi poi in tutta la Penisola in epoca rinascimentale, la disciplina venne elogiata con toni appassionati da Antonfrancesco Grazzini, detto il Lasca, nel Canto di giocatori di palla al maglio del 1559.
Per cimentarsi nella pallamaglio erano necessari un mazzuolo di legno dal manico lungo – da afferrare saldamente con entrambe le mani – e una palla «soda» o «sorda», generalmente in legno di bosso, di piccole dimensioni, ossia, come prescrivevano i manuali dell’epoca, non più grande di un uovo. La mazza da gioco aveva peso, lunghezza e curvatura variabili, secondo i diversi terreni di gioco: in alcuni casi terminava con una sorta di mazzuolo, in altri con una piccola racchetta realizzata con corde intrecciate in un tondo telaio in legno.

Giocatore di pallamaglio

In origine, la sfida della pallamaglio coinvolgeva gli atleti in prove di destrezza o di distanza, con l’obiettivo di spedire la palla dentro un buco o verso una meta contrassegnata da un segno circolare o da uno o due bastoni piantati a terra. La competitività tra giocatori era comunque assai forte: non di rado sfociava in rissa, come racconta una leggenda devozionale ambientata a Sant’Anastasia, nel Napoletano. Il lunedì di Pasqua del 1450, nei pressi della venerata edicola della Madonna dell’Arco, si stava giocando a pallamaglio, quando un tiro infelice fece andare su tutte le furie uno dei giocatori, il quale prima bestemmiò terribilmente, poi scagliò la palla da gioco contro la sacra effigie. L’icona sacra prese a sanguinare e la folla sconvolta dal prodigio e imbestialita per l’offesa compiuta, cercò di linciare il sacrilego giocatore, che si salvò per miracolo.
Col tempo il gioco si affinò, aumentando di complessità con l’inserimento di specifiche gare di abilità, come il rouet (giro di campo con il minor numero di colpi), la chicane (portando il gioco in aperta campagna, su terreno accidentato) o la passe, nella forma del gioco a squadre con quattro o sei giocatori.
La pallamaglio appassionò nobile e plebei non solo in Italia: intorno al XVI secolo valicò le Alpi e conquistò sia la Francia, dove prese il nome di mail ed ebbe tra i suoi giocatori più accaniti Luigi XVI (che fece realizzare un apposito campo presso il suo palazzo delle Tuileries), sia oltre la Manica, nell’intero Regno Unito, dove fu ribattezzata pall-mall e, tra i suoi molti estimatori, annoverò anche il re Carlo II d’Inghilterra.

Der Kolfspieler, di Rembrand (1654)

Nei secoli le mazze si perfezionarono, differenziandosi dal mazzuolo originario a seconda dei colpi e degli effetti desiderati, mentre in alcuni casi, per attutire i colpi, la palla venne ricoperta in panno. Pur non potendo stabilire una discendenza diretta, la pallamaglio ha radici comuni a numerosi sport moderni, quali il cricket, il croquet e il golf. E sebbene non venga più praticata da tempo, la sua impronta si conserva nella toponomastica di alcune città italiane ed europee: a Modena sopravvive via Pallamaglio, mentre a Torino una strada omonima è stata successivamente reintitolata a Oddino Morgari; resistono inoltre via Maliebaan a Utrecht e via Palmaille ad Amburgo.
La nascita del golf moderno ci riporta in Scozia: infatti si devono a William St. Clair di Roslin, fondatore della Company of Gentlemen Golfers, la stesura nel 1764 delle prime regole scritte e la creazione del primo circolo di golf. Nei dipinti dell’epoca possiamo vedere St. Clair con l’elegante uniforme dei Gentlemen Golfers che avevano sede a Muirfield: giubba rossa con pantaloni alla zuava di velluto e scarpe cardinalizie, con tanto di fibbia, per la massima eleganza in campo. Forse la comodità non era assicurata, ma a questi Gentlemen scozzesi si deve la (ri)nascita del golf.

Ritratto di Sir William St. Clair di Roslin, olio su tela di Sir George Chalmers (1771)

Se Sir William St. Clair di Roslin è l’artefice della prima stesura delle regole del gioco del golf ma lo considerava uno sport per gentlemen, nei decenni successivi esso cominciò ad essere praticato anche dalle donne. Si deve attendere però il 1893 perché questo gioco abbia una diffusione più ampia tra le sportive femminili: è di quest’anno, infatti, sia la nascita della Ladies Golf Union tra giocatrici dilettanti di Gran Bretagna e Irlanda, sia il primo Ladies’ British Amateur Championship, giocato al Royal Lytham and St. Annes Golf Club nel Lancashire (Inghilterra).

Illustrazione del 1873 con una partita di golf giocata da donne

IL POLO
Affine al golf ci appare oggi il polo. Invece, lo sport ippico in cui gli atleti sono dotati di mazze per contendersi la palla, non ha alcuna parentela con il golf. Si tratta, infatti, di uno sport nato nelle grandi pianure dell’Asia centrale e in Persia. Per dimostrare la propria abilità di cavalieri anche in tempo di pace, i guerrieri si sfidavano in un gioco in cui si contendevano una palla con lunghe mazze di legno: la forma, le dimensioni e i materiali degli attrezzi potevano cambiare da regione a regione, ma ciò non impedì alla disciplina di diffondersi nelle steppe euroasiatiche anche tra le tribù mongole e quindi in Cina.

Miniatura raffigurante una partita di polo, da un canzoniere (Divan) persiano del XVI secolo

In Afghanistan e in Kazakistan ancora oggi si pratica uno sport equestre piuttosto cruento, che mantiene uno stretto legame con la tradizione dei cavalieri delle steppe: si tratta del buzkashi, gara in cui due squadre di uomini a cavallo si contendono, a suon di bastonate e frustate, la carcassa di una capra, che viene trascinata all’interno di un campo fino a un’area delimitata come meta.
Nella Cina occidentale si pratica una variante di questo sport, con i concorrenti a dorso di yak. Il primato dell’animale dalla stazza più imponente impegnato in una partita di polo va però a Nepal, Sri Lanka, Rajasthan (in India) e Tailandia, Paesi nei quali si gioca, infatti, in groppa agli elefanti.

Franz Roubaus (1856-1928), Una partita di buzkashi


(Testo adattato da un articolo di Roberto Roveda con la collaborazione di Francesca Saporiti, pubblicato sul numero 223 di Medioevo – Un passato da riscoprire, agosto 2015)



Nessun commento:

Posta un commento