Questo è il secondo di 4 post dedicati ai canti della Grande Guerra.
ANNA IDENTICI: NINNA NANNA DELLA GUERRA
(1973)
2- Canti dell’epoca
reinterpretati in anni più recenti
Molti canti della
Grande Guerra sono stati interpretati in tempi recenti (ossia, dopo la Seconda
Guerra mondiale) in versioni musicalmente più vicine al gusto moderno. Eccone
alcune.
MASSIMO BUBOLA: PONTE DE PRIULA (2005)
Questa canzone descrive la
ritirata italiana da Caporetto al Piave, dove il ponte è collocato. L'anonimo
narratore descrive l'orrore della guerra con straordinaria efficacia: ogni
strofa fotografa una stazione del dolore di questa via crucis dell'esercito
italiano. Come sulla croce del Cristo, anche in questo caso viene infine
attaccato un cartello. Su questo cartello c'è l'immagine della morte, nel cui
nome si chiude questa raggelante descrizione.
Ponte de Priula l'è un Piave
streto
i ferma chi vién da Caporeto
Ponte de Priula l'è un Piave
streto
i copa chi che no ga 'l moscheto.
Ponte de Priula l'è un Piave nero
tuta la grava l'è un simitero
Ponte de Priula l'è un Piave
amaro
i fusilai butai in un maro.
Ponte de Priula l'è un Piave
mosso
el sangue italiàn l'ha fatto
rosso.
Ponte de Priula sora le porte
i taca un cartèl con su la morte
La copertina del disco di Massimo Bubola da cui è tratta la canzone
GIOVANNA DAFFINI: FUOCO
E MITRAGLIATRICI (1966)
Canto della Grande Guerra
composto sull’aria della canzonetta napoletana “Sona chitara” di Libero Bovio
con musica di Ernesto De Curtis, del 1913. Le località menzionate nelle varie
versioni del canto ne fanno risalire la composizione tra la fine del 1915 e
l'inizio del 1916. Alle pendici di Monte San Michele era allora situato un
trincerone italiano, che verso valle andava al bosco Cappuccio (qui chiamato
"monte Cappuccio"), e verso monte al bosco Lancia ed alle trincee
delle Frasche e dei Razzi. La conquista di quest'ultima (qui citata come
"Trincea dei Raggi"), il 16 dicembre 1915, costò alla brigata Sassari
la morte dei due terzi dei suoi soldati.
Canti come questo, da cui
traspare - con inattesa sincerità - un sentimento doloroso verso l’obbligo del
servizio militare e verso la guerra, non sono molto frequenti nel repertorio
dei soldati, dato che la retorica celebrativa dei canti militari impone e
diffonde ben altri testi. Questo canto è stato interpretato nel 1994 anche dai Barabàn.
Non ne parliamo di questa guerra
che sarà lunga un'eternità;
per conquistare un palmo di terra
quanti fratelli son morti di già!
Fuoco e mitragliatrici,
si sente il cannone che spara;
per conquistar la trincea:
Savoia ! - si va.
Trincea di raggi, maledizioni,
quanti fratelli son morti lassù!
Finirà dunque 'sta flagellazione?
Di questa guerra non se ne parli
più.
O Monte San Michele,
bagnato di sangue italiano!
Tentato più volte, ma invano
Gorizia pigliar.
Da Monte Nero a Monte Cappuccio
fino all'altura di Doberdò,
un reggimento più volte
distrutto:
alfine indietro nessuno tornò.
Fuoco e mitragliatrici,
si sente il cannone che spara;
per conquistar la trincea:
Savoia ! - si va.
Giovanna Daffini
GIOVANNA DAFFINI: LA TRADOTTA CHE PARTE DA NOVARA (1966)
È la tradotta che parte da Novara
E va diretta al Monte Santo,
E va diretta al Monte Santo,
Il cimitero della gioventù.
Sulle montagne fa molto freddo
Ed i miei piedi si son gelati,
Ed i miei piedi si son gelati,
All’ospedale mi tocca andar.
Appena giunto all’ospedale
Il professore mi ha visitato:
“O figlio mio sei rovinato
ed i tuoi piedi li dobbiam
tagliar”.
E i miei piedi mi hanno tagliato,
Due stampelle mi hanno dato,
Due stampelle mi hanno dato,
A casa mia lor mi han mandà.
A casa mia mi sono arrivato,
Fratelli e madre compiangenti
E fra singhiozzi e fra lamenti:
“O figlio caro, tu sei rovinà”.
Mi hanno segnato una pensione
Di una lira e cinquantotto;
Mi tocca fare il galeotto
Per potermi ben disfamar.
Ho girato tutti i paesi
E tutti quanti ne hanno
compassione,
Ma quei vigliacchi di quei
signori
Nemmeno un soldo lor mi hanno dà.
Copertina di un numero
de “La tradotta”, il più famoso giornale di trincea italiano
MONDINE DI BENTIVOGLIO: PRENDI IL FUCILE
È una versione particolare del
coro “Gran Dio del cielo” presente più sopra, con alcune strofe diverse, in
particolare l’ultima, che è molto interessante per il suo antimilitarismo. Non
conosciamo la data di incisione.
Prendi il fucile
E vattene alla frontiera
Là c’è il nemico
Che alla frontiera aspetta
I primi colpi
Che sparo dal mio fucile
Son tutti baci
Che mando alla mia bella
Dio del cielo
Se fossi una rondinella
Vorrei volare
In braccio alla mia bella
Prendi quel secchio
E vattene alla fontana
Là c’è il tuo amore
Che alla fontana aspetta
Prendi il fucile
E buttalo lì per terra
Vogliam la pace
E mai mai più la guerra.
Soldati
italiani passano l’Isonzo su un traghetto
ROSARIA GUACCI: E ANCHE AL MI’ MARITO TOCCA ANDARE
E anche al mi' marito tocca andare
a fa' barriera contro l'invasore,
ma se va a fa' la guerra e po' ci more
rimango sola con quattro creature.
E avevano ragione i socialisti:
ne more tanti e 'un semo ancora lesti;
ma s'anco 'r prete dice che dovresti,
a morì te 'un ci vai, 'un ci hanno cristi.
E a te, Cadorna, 'un mancan l'accidenti,
ché a Caporetto n'hai ammazzati tanti;
noi si patisce tutti questi pianti
e te, nato d'un cane, non li senti.
E 'un me ne 'mporta della tu' vittoria,
perché ci sputo sopra alla bandiera;
sputo sopra l'Italia tutta 'ntera
e vado 'n culo al re con la su' boria.
E quando si farà rivoluzione
ti voglio ammazzà io, nato d'un cane,
e a' generali figli di puttane
gli voglio sparà a tutti cor cannone
Soldati russi in
trincea nel 1914
LUCIANO PAVAROTTI: LA CAMPANA DI SAN GIUSTO (1985)
Canzone
del 1919 scritta da Giovanni Drovetti (parole) e Colombino Arona (musica). La
campana di San Giusto è quella della cattedrale che domina Trieste, la città
che per gli irredentisti doveva entrare a far parte del regno d’Italia
(l’annessione avverrà nel 1920). Ne esistono diverse versioni: a me piace
quella cantata da Luciano Pavarotti.
Per le spiagge, per le
rive di Trieste
suona e chiama di San
Giusto la Campana,
l'ora suona, l'ora suona
non lontana
che più schiava non sarà.
Le ragazze di Trieste
cantan tutte con ardore:
- O Italia, o Italia del
mio cuore,
tu ci vieni a liberar!
Avrà baci, fiori e rose la
marina,
la campana perderà la nota
mesta,
su San Giusto sventolar
vedremo a festa
il vessillo tricolor.
Le ragazze di Trieste
cantan tutte con ardore:
- O Italia, o Italia del
mio cuore,
tu
ci vieni a liberar!
Spartito della canzone
GIOVANNA MARINI: O GORIZIA (1964)
La battaglia di Gorizia (9-10 agosto 1916) costò, secondo dati ufficiali,
la vita a 1.759 ufficiali e 50.000 soldati circa, di parte italiana e a 862
ufficiali e 40.000 soldati circa di parte austriaca. Fu uno dei più pazzeschi
massacri di una guerra tutta pazzesca. Chi veniva sorpreso a cantare questa
canzone durante la guerra era accusato di disfattismo e poteva essere fucilato.
La mattina del cinque di agosto
si muovevano le truppe italiane
per Gorizia, le terre lontane
e dolente ognun si partì.
Sotto l'acqua che cadeva a rovescio
grandinavano le palle nemiche;
su quei monti, colline e gran valli
si moriva dicendo così:
O Gorizia, tu sei maledetta
per ogni cuore che sente coscienza;
dolorosa ci fu la partenza
e il ritorno per molti non fu.
O vigliacchi che voi ve ne state
con le mogli sui letti di lana,
schernitori di noi carne umana,
questa guerra ci insegna a punir.
Voi chiamate il campo d'onore
questa terra di là dei confini;
qui si muore gridando: assassini!
maledetti sarete un dì.
Cara moglie, che tu non mi senti
raccomando ai compagni vicini
di tenermi da conto i bambini,
che io muoio col suo nome nel cuor.
O Gorizia, tu sei maledetta
per ogni cuore che sente coscienza;
dolorosa ci fu la partenza
e il ritorno per molti non fu.
VARIANTE:
Traditori signori
ufficiali
che la guerra
l'avete voluta,
scannatori di carne
venduta,
e rovina della
gioventù.
Giovanna Marini
NANNI SVAMPA: ADDIO PADRE E MADRE ADDIO (1977)
Conosciuta soprattutto nell’Italia settentrionale durante la Grande
Guerra, questa canzone è forse antecedente al periodo bellico.
Addio padre e madre
addio,
che per la guerra mi
tocca di partir,
ma che fu triste il
mio destino,
che per l'Italia mi
tocca di morir.
Quando fui stato in
terra straniera
subito l'ordine a me
m'arrivò,
mi dan l'assalto, la
baionetta in canna,
addirittura un
macello diventò.
E fui ferito con una
palla al petto,
i miei compagni li
vedo a fuggir
ed io per terra
rimasi costretto
mentre quel chiodo*
lo vedo a venir.
"Fermati o
chiodo, che sto per morire,
pensa a una moglie
che piange per me",
ma quell'infame col
cuore crudele
col suo pugnale
morire mi fé.
Voialtre mamme che
soffrite tanto
per allevare la
bella gioventù
nel cuor vi restano
lacrime e pianto
e i vostri figli che
muore laggiù.
Sian maledetti quei
giovani studenti
che hanno studiato e
la guerra han voluto,
hanno gettato
l'Italia nel lutto,
per cento anni dolor sentirà.
* Il chiodo è il tedesco, in
quanto i tedeschi avevano l’elmetto a punta (Pickelhaube)
Il kaiser Guglielmo II e
ufficiali del suo esercito con il Pickelhaube nel 1915
GUALTIERO BERTELLI: ADDIO VENEZIA ADDIO (1968)
Il canto (del
1917/18 circa) parla dei veneziani che dopo la rotta di Caporetto, mentre la
città incominciava
ad essere preda
delle incursioni nemiche, sono andati profughi in varie località della costa
adriatica
Adio, Venessia,
adio,
noi se ne andiamo,
adio, Venessia,
adio,
Venezia salutiamo.
Passando per
Malamoco
ghe gera de le
donéte,
che tutte ci
dimandavano:
Ma da che parte
siete?
Siamo dal
Cannaregio,
San Giacomo e
Castèlo,
siamo fuggiti via
col nostro fagotèlo.
E arrivati a
Chioggia
ci misero acampati
come fussimo stati
i pòvari soldati.
Dopo tre ore bone
'rivata la tradòta,
ai pòvari bambini
un poca de acqua
sporca.
E a noi per
colazione
la carne congelada,
e dentro ghe
conteneva
qualche bona
pissada.
E da Rovigo a
Ferrara
una lunga fermata,
durante tutta la
notte
fino alla matinata.
Dopo quarantott’ore
de nostro penoso
viaggio,
siamo arrivati a
Pesaro,
uso pellegrinaggio.
Sfollati
MASSIMO BUBOLA: ADIO RONCO (2005)
Questo canto
(scritto da italiani sudditi e soldati austroungarici) prende spunto dalla
partenza, nel 1914, dei Kaiserjäger, i Cacciatori delle Alpi, verso il fronte
russo.
Adio Ronco mio paese
ti saluto con la
mano
ti saluto con la
mano
me ne vado via
lontàn
Via lontano alla
guerra
contro i Russi già
iniziata
sto per prendere
l'armata
via coi bravi
Cacciatòr
Contro i Russi sto
marciando
per la guerra già
iniziata
per la forte grande
armata
che fa parte i
Cacciatòr
Noi ci coglie
l'emozione
che a lasciar
l'amante mia
l'è per essa
un'agonia
la partenza del suo
amor
Caro padre, madre
mia
io piangendo vi
saluto
non portate per me
'l lutto
se Dio vuol
ritornerò,
non portate per me
'l lutto
se io non ritornerò
Cari amici vi saluto
rammentate i
desolati
che ancor oggi van
soldati
o per vincere o per
morir
Manifesto per i Kaiserjäger
ANNA IDENTICI: NINNA NANNA DELLA GUERRA
(1973)
Ninna nanna scritta
nel 1914 da Trilussa.
Trilussa (Roma, 26
ottobre 1871 - 21 dicembre 1950), pseudonimo di Carlo Alberto Salustri, è stato
un poeta italiano, noto per le sue composizioni in dialetto romanesco, che
riuscì ad elevare a lingua letteraria.
Dopo un'infanzia
poverissima (a tre anni era rimasto orfano del padre), compì studi irregolari e
debuttò giovanissimo (1887), con poesiole romanesche, su Il Rugantino di Luigi
Zanazzo; più tardi scrisse anche per il Don Chisciotte, il Capitan Fracassa, Il
Messaggero e Il Travaso delle idee.
Di carattere
folcloristico, provinciale e madrigalesco è il primo volume di versi, Le Stelle
de Roma (1889); poi la sua vena, prevalentemente satirica, andò via via
affinandosi, trovando la misura più congeniale nel bozzetto di costume e nella
favola moraleggiante di ascendenza esopiana: Quaranta sonetti (1895), Favole
romanesche (1900), Caffè-concerto (1901), Er serrajo (1903), Ommini e bestie
(1908), Le storie (1915), Lupi e agnelli (1919), Le cose (1922), La gente
(1927) e molte altre.
Con un linguaggio
arguto, appena increspato dal dialetto borghese, Trilussa ha commentato circa
cinquant'anni di cronaca romana e italiana, dall'età giolittiana agli anni del
fascismo e a quelli del dopoguerra. La corruzione dei politici, il fanatismo
dei gerarchi, gli intrallazzi dei potenti sono alcuni dei suoi bersagli
preferiti.
Ma la satira
politica e sociale, condotta d'altronde con un certo scetticismo
qualunquistico, non è l'unico motivo ispiratore della poesia trilussiana:
frequenti sono i momenti di crepuscolare malinconia, la riflessione sconsolata,
qua e là corretta dai guizzi dell'ironia, sugli amori che appassiscono, sulla
solitudine che rende amara e vuota la vecchiaia (i modelli sono, in questo
caso, Lorenzo Stecchetti e Guido Gozzano).
Personaggio
popolarissimo, Trilussa visse di proventi editoriali e di collaborazioni
giornalistiche: era anche un efficace dicitore dei suoi versi, e come lettore
di poesia fece lunghe tournée in Italia e all'estero. La raccolta di Tutte le
poesie uscì postuma, nel 1951, a cura di Pietro Pancrazi, e con disegni
dell'autore.
Il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi nominò Trilussa senatore a
vita il 1 dicembre 1950, venti giorni prima che morisse.
Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna,
dormi dormi cocco bello,
se no chiamo Farfarello,
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Cecco Peppe
che s'aregge co' le zeppe:
co' le zeppe de un impero
mezzo giallo e mezzo nero;
ninna nanna pija sonno,
che se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno.
Fra le spade e li fucili
de li popoli civili.
Ninna nanna, tu non senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che comanna,
che comanna e che s'ammazza
a vantaggio de la razza.
O a vantaggio de una fede,
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar sovrano macellaro;
che quer covo d'assassini
che c'insanguina la tera
sa benone che la guera
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le borse.
Fa la ninna, cocco bello,
finché dura 'sto macello,
fa la ninna che domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima,
boni amici come prima;
so' cuggini e fra parenti
nun se fanno complimenti!
Torneranno più cordiali
li rapporti personali
e, riuniti infra de loro,
senza l'ombra de un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la pace e sur lavoro
pe' quer popolo cojone
risparmiato dar
cannone
Trilussa e Anna Identici
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