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mercoledì 11 novembre 2015

70 Il Risorgimento italiano: dalla Seconda guerra d'indipendenza alla conquista di Roma



IL RISORGIMENTO ITALIANO: DALLA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA ALLA CONQUISTA DI ROMA

Nel 1849 divenne re di Sardegna Vittorio Emanuele II di Savoia, che nel 1852 scelse come primo ministro il conte Camillo Benso di Cavour. Costui avviò un’opera di modernizzazione del Regno di Sardegna, facendo costruire le prime ferrovie, potenziando il porto di Genova, favorendo lo sviluppo industriale ed eliminando molti ordini religiosi.

Camillo Benso, conte di Cavour in un ritratto del XIX secolo conservato nel Castello di Sales

Cavour si occupò anche della preparazione della guerra contro l’Austria, con una serie di abili mosse. Prima inviò un corpo di spedizione a partecipare alla guerra di Crimea (1855), in modo da poter intervenire alle trattative di pace, che si tennero a Parigi (1856): qui Cavour accusò l’Austria di provocare con i suoi interventi in Italia una situazione di tensione che avrebbe potuto portare a una rivoluzione. Poi Cavour riuscì a ottenere l’appoggio di Napoleone III, che mirava a estendere l’influenza francese sul Mediterraneo (accordi stipulati a Plombières, in Francia, nel 1858): la Francia sarebbe intervenuta a favore del Regno di Sardegna se questo fosse stato attaccato; al termine della guerra l’Italia sarebbe divenuta una federazione e il Regno di Sardegna avrebbe ceduto alla Francia la Savoia e Nizza.

Il Congresso di Parigi conclude la guerra di Crimea, olio di Édouard-Louis Dubufe del 1855 circa; Cavour (il primo a sinistra nel dipinto) si alleò con Francia e Inghilterra che erano in guerra 
contro la Russia ed inviò in Crimea 15.000 soldati. In questo modo al Congresso di Parigi poté 
porre all’attenzione generale la «questione italiana»

Gli accordi di Plombières puntavano alla creazione di uno Stato italiano indipendente, in linea con il pensiero di molti patrioti moderati, secondo i quali l’unica possibilità per ottenere la creazione di tale Stato era che re e principi d’Italia si accordassero tra loro per formare una confederazione di Stati. Tra questi moderati si distingueva il filosofo Vincenzo Gioberti, autore di un trattato intitolato Primato morale e civile degli Italiani (1843), in cui sosteneva che il papa avrebbe potuto avere la presidenza di questa federazione. Questa posizione è detta neoguelfismo, perché nel Medioevo i guelfi erano i sostenitori del pontefice nella lotta tra papa e imperatore.
Anche il democratico Carlo Cattaneo credeva che una confederazione fosse l’organizzazione migliore per l’Italia, perché solo una federazione avrebbe rispettato la libertà dei cittadini e permesso loro di autogovernarsi.
Altri patrioti, sia democratici, sia moderati, ritenevano che non una confederazione, bensì uno Stato unitario dovesse sorgere in Italia: questo Stato avrebbe dovuto essere una repubblica per i democratici, o una monarchia per i moderati. Questi ultimi pensavano che i re di Sardegna avrebbero potuto essere a capo del nuovo Stato.
Altri pensavano che si sarebbe raggiunta l’unità italiana solo muovendo guerra all’Austria e che l’esercito di liberazione dovesse essere guidato dal re di Sardegna. Molti democratici, invece, ritenevano che solo una rivoluzione popolare avrebbe portato all’unità d’Italia e alla formazione di uno Stato democratico e repubblicano. Tra costoro vi furono Giuseppe Mazzini, i fratelli Bandiera, Carlo Pisacane e Giuseppe Garibaldi.

Da sinistra: Vincenzo Gioberti, Carlo Cattaneo e Giuseppe Mazzini,
tre protagonisti del Risorgimento italiano

Nell’aprile 1859 l’Austria, abilmente provocata da Cavour, attaccò il Regno di Sardegna: fu la seconda guerra d’indipendenza. L’esercito francese, quello sardo e le truppe di volontari guidate da Giuseppe Garibaldi ottennero una serie di vittorie (a Montebello, a Magenta, a Solferino, a San Martino), che portarono alla liberazione della Lombardia.

Gerolamo Induno, La battaglia di Magenta (1862)

Alla notizia dello scoppio della guerra si ebbero rivolte in Emilia, in Romagna e in Toscana, dove le popolazioni richiesero l’unione al Regno di Sardegna.
Napoleone III, probabilmente temendo che si formasse un forte Stato italiano ai confini della Francia, preferì arrivare a un armistizio con l’Austria (armistizio di Villafranca, 8 luglio 1859). La Francia si ritirò dalla guerra e la Lombardia passò al Regno di Sardegna.
In Emilia, Romagna e Toscana le popolazioni votarono l’annessione (= l’unione) al Regno di Sardegna (marzo 1860).

Bettino Ricasoli presenta il plebiscito toscano a Vittorio Emanuele II 
(dipinto di S. Capisanti del XIX secolo)

Nel maggio 1860 una spedizione di circa mille uomini guidata da Giuseppe Garibaldi partì da Quarto (in Liguria) e sbarcò a Marsala (in Sicilia), con l’obiettivo di liberare l’Italia meridionale dal governo dei Borboni. L’esercito garibaldino ottenne diverse vittorie (Calatafimi, Milazzo, Volturno) e, ingrossato da numerosi volontari dell’Italia meridionale (circa 5.000 uomini in Sicilia, 20.000 alla battaglia del Volturno), conquistò tutto il Regno delle Due Sicilie.

Carlo Bossoli, La guerra sul Vulturno, combattimento a Porta Romana presso Santa Maria Maggiore, litografia acquerellata (1860-62)

Garibaldi era un democratico e Cavour temeva che volesse creare uno Stato repubblicano nell’Italia meridionale; inoltre se Garibaldi avesse proseguito nella sua marcia, giungendo a Roma, questo avrebbe provocato un intervento francese, perché Napoleone III proteggeva il papa. Perciò l’esercito piemontese partì per raggiungere quello garibaldino, attraversando il territorio dello Stato della Chiesa e occupando le Marche e l’Umbria (vittoria di Castelfidardo). Garibaldi consegnò il Regno delle Due Sicilie a Vittorio Emanuele II (incontro di Teano).

Pietro Aldi, L’incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II a Teano (affresco del 1886 nel Palazzo Comunale di Siena)

Nell’ottobre 1860 (nei territori del Regno delle Due Sicilie) e nel novembre dello stesso anno (nelle Marche e nell’Umbria, che facevano parte dello Stato Pontificio) si tennero dei plebisciti (ossia delle votazioni popolari) che confermarono l’unione dei territori conquistati da Garibaldi e dall’esercito piemontese al Regno di Sardegna.
Il 17 marzo 1861 venne poi proclamato il Regno d’Italia, con capitale Torino. Vittorio Emanuele II divenne “re d’Italia per grazia di Dio e volontà della Nazione”, mentre soltanto tre mesi dopo moriva Cavour. Roma e il Veneto non facevano parte del nuovo Regno.
Esso nacque come Stato unico e fortemente accentratore: le province furono poste sotto il controllo di prefetti, cioè di rappresentanti del governo centrale dotati di grandi poteri, e il governo si preoccupò di uniformare le leggi e l’amministrazione di tutto il Regno. Al nuovo Regno fu esteso lo Statuto Albertino, che garantiva al re pieni poteri e limitava il suffragio ad appena il 2% della popolazione.

L’aula del primo parlamento del Regno d’Italia a palazzo Carignano a Torino

In realtà le differenze all’interno dell’Italia erano molto grandi. Le regioni settentrionali avevano un’agricoltura abbastanza sviluppata, una rete ferroviaria e alcune industrie, per cui era in corso una crescita economica. Nelle regioni meridionali l’agricoltura era molto arretrata e le industrie poco numerose e spesso non competitive.
Molti contadini avevano sperato che il nuovo governo distribuisse le terre a chi le lavorava, ma questo non avvenne e la coscrizione (cioè l’arruolamento nell’esercito) obbligatoria peggiorò le condizioni di vita. Si ebbe perciò, già nel 1861, una rivolta popolare in tutta l’Italia meridionale. Essa è chiamata brigantaggio, perché i gruppi di contadini e di soldati sbandati dell’esercito meridionale formavano bande di briganti, che si rifugiavano sulle montagne e vivevano di furti, aggressioni e ricatti.

I componenti della banda Barile in una fotografia dell’epoca

Il governo non cercò di ridurre la miseria da cui era nata la rivolta, ma attuò una durissima repressione militare: vennero approvate leggi d’emergenza e l’esercito fece arresti di massa, fucilazioni immediate, distruzione di interi paesi. Questi provvedimenti misero fine al brigantaggio (1865), senza che le condizioni di vita dei contadini venissero migliorate.
Nel 1866 la Prussia, che preparava una guerra contro l’Austria, strinse un’alleanza militare con l’Italia: in questo modo per l’Austria si sarebbe aperto un secondo fronte di guerra e l’esercito austriaco avrebbe dovuto dividersi per schierarsi su due linee di combattimento. La Prussia sconfisse l’Austria e l’Italia poté ottenere il Veneto e il Friuli, nonostante la sconfitta subita dall’esercito a Custoza e dalla marina a Lissa: questa guerra viene chiamata terza guerra d’indipendenza.

Litografia colorata del 1866 ca. di Pinot e Sagaire, raffigurante la Battaglia navale di Lissa.
Nella stampa compaiono soltanto velieri, ma la battaglia di Lissa fu uno dei primi grandi scontri 
sul mare in cui vennero impiegate navi a vapore corazzate

Roma, sotto il controllo del papa, era difesa da una guarnigione francese e Napoleone III non avrebbe accettato che il papa venisse privato del suo dominio, perché avrebbe perso l’appoggio dei cattolici francesi. Perciò quando Garibaldi cercò di conquistare Roma (1862 e 1867), fu lo stesso esercito italiano a fermarlo. Ma quando la Francia fu sconfitta dalla Prussia nella guerra che scoppiò nel 1870, le truppe italiane poterono entrare facilmente a Roma, che divenne la nuova capitale del Regno, dopo Torino (che lo era stata dal 1861 al 1865) e dopo Firenze (dal 1865 al 1871).

La breccia di Porta Pia in una litografia colorata dell’epoca.
Il 20 settembre 1870 i soldati del generale Raffaele Cadorna, dopo aver vinto la debole resistenza delle truppe pontificie, sfondarono a cannonate le mura presso Porta Pia a Roma

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Il Risorgimento italiano parte seconda