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sabato 27 dicembre 2014

43 L'Africa e la tratta dei neri


L’AFRICA E LA TRATTA DEI NERI

Nel corso del Medioevo una parte degli abitanti dell’Africa nera (come viene chiamata quella a sud del Sahara) formava delle tribù, che vivevano in villaggi rurali praticando un’economia di semisussistenza, integrata da un semplice commercio locale; non conoscevano forme di governo di tipo monarchico. Ma anche in Africa si formarono, soprattutto nel Basso Medioevo, alcuni grandi regni, che controllavano direttamente un vasto territorio e dominavano, mediante la supremazia della classe militare, su popolazioni diverse, imponendo loro di pagare un tributo personale o un’imposta sul commercio a lunga distanza.

Figura di cavaliere, terracotta proveniente da Djenné nel Mali, realizzata in un periodo tra 
IX e XV secolo, conservata a Londra alla Entwistle Gallery

I primi a conoscere la realtà sub-sahariana furono gli Arabi del Nord Africa: essi vennero a conoscenza di città commerciali e di regni, certamente fondati da tempo e in alcuni casi molto prima dello sviluppo musulmano.
I principali furono:
- il regno del Songhai, il più vasto Stato mai sorto in Africa prima del periodo coloniale
- il regno del Mali, formatosi nel XIII secolo
- il regno del Congo, lungo la costa atlantica
- i regni di Luba e di Lunda nell’interno
- i regni degli Hausa, nel Sudan centrale, che nel ‘500 erano ricchi e pacifici.

L’Africa prima della colonizzazione europea

L’incontro tra Arabi e Africani fu pacifico e fonte di scambi culturali. E i primi viaggiatori e navigatori europei che entrarono in contatto con gli abitanti del continente nero, come si comportarono? A questa domanda possiamo rispondere con sicurezza, perché sono numerosi i diari di viaggio, scritti soprattutto da portoghesi, olandesi e inglesi.
I primi esploratori si imbatterono in molte usanze e credenze che li lasciarono stupefatti: per esempio scoprirono che era piuttosto comune la poligamia, o che venivano innalzati templi agli antenati, riveriti come dèi, o che in alcune occasioni particolari si praticavano sacrifici umani. Ma quasi mai (tranne rarissime volte) navigatori e avventurieri trovarono in ciò che videro qualcosa di strano o di perverso, bensì piuttosto qualcosa di naturale e persino familiare. Trovarono Stati dediti al commercio quasi come avveniva in Europa; governi e popoli rispettosi di leggi e fieri della propria indipendenza; re considerati divini – cioè investiti di un’autorità spirituale, oltre che temporale – né più né meno dei monarchi europei.

Testa coronata femminile del XII-XV secolo, proveniente da Ife (Nigeria) 
conservata al National Museum di Lagos

Fatte salve alcune eccezioni, gli europei del secolo XVI erano convinti di aver trovato in Africa forme di civiltà spesso analoghe alle proprie, sebbene con abitudini e costumi vari e diversi. Solo successivamente – in particolare a partire dal XVIII secolo – si affermò l’idea che l’Africa fosse popolata da barbari selvaggi, che gli africani appartenessero a una razza inferiore. Ma questa idea fu il frutto di ciò che gli europei fecero nei confronti dei neri.
Già durante le esplorazioni sulle coste atlantiche i Portoghesi avevano iniziato a catturare neri africani per renderli schiavi; quando in America la manodopera cominciò a scarseggiare, si pensò che proprio gli schiavi neri africani potessero risolvere il problema. Si scoprì, tra l’altro, che essi si adattavano più facilmente al clima dell’America centrale e meridionale, simile a quello africano, e che resistevano alla fatica meglio degli indios.

Cattura di schiavi sul fiume Senegal

La richiesta di schiavi africani divenne altissima e provocò lo sviluppo del commercio di schiavi neri, fenomeno che venne chiamato tratta dei neri: nel Cinquecento esso rimase ancora limitato (gli storici hanno calcolato 300.000 schiavi portati in America), ma tra il Seicento e l’Ottocento ebbe grandissimo sviluppo e milioni di schiavi neri (le cifre più verosimili parlano di circa 10 milioni) attraversarono l’oceano Atlantico sulle navi dei commercianti di schiavi, detti negrieri. Se inizialmente questo commercio era soprattutto nelle mani di Portoghesi e Olandesi, poi passò sotto il controllo dei Francesi e degli Inglesi: Nantes in Francia e Liverpool in Inghilterra si specializzarono in questo commercio.

Modello di nave negriera

I negrieri si procuravano uomini e donne da vendere come schiavi in modi diversi. A volte attaccavano dei villaggi, catturando personalmente coloro che erano in grado di lavorare, oppure rapivano persone isolate. Più spesso compravano prigionieri da qualche capotribù o re africano: questi prigionieri potevano essere uomini e donne ridotti in schiavitù a causa di debiti o di delitti commessi, oppure erano stati catturati durante incursioni o razzie contro villaggi vicini. Per molte tribù africane attaccare altre popolazioni per catturare prigionieri da vendere agli europei divenne un ottimo affare.

Un africano vende degli schiavi a un mercante europeo

Poiché le popolazioni che si dedicavano al commercio degli schiavi ricevevano dagli europei anche armi da fuoco (le altre merci di scambio erano solitamente perline, stoffe, nastri), esse erano in grado di affrontare e sconfiggere facilmente le tribù che non avevano armi: era perciò molto difficile opporsi alla tratta, anche se alcuni sovrani africani cercarono in tutti i modi di ostacolare la vendita di schiavi agli europei.

Mercanti di schiavi europei e africani (1856)

La tratta dei neri portò a una forte riduzione della popolazione africana in tutte le regioni in cui veniva praticato questo commercio. Oltre alle donne e agli uomini che venivano catturati e portati in America, molti altri morirono durante gli attacchi ai villaggi, o durante la traversata dell’oceano: le condizioni in cui essa avveniva erano disumane, anche perché i negrieri tendevano a stipare le navi il più possibile di schiavi e a spendere per il loro mantenimento il meno possibile.

Nella stiva di una nave negriera

La perdita della libertà, l’allontanamento dalla propria terra senza sapere il motivo e la destinazione, il distacco dai parenti se non erano stati catturati anch’essi, spingevano gli africani al suicidio o alla ribellione, alla quale i negrieri opponevano una violenza tale da provocare, anche contro i loro interessi, la morte di molti schiavi.

Rivolta in una nave negriera (1787)

Più tardi, quando nel XIX secolo la tratta dei neri venne proibita e navi da guerra inglesi davano la caccia ai negrieri, questi, per non essere sorpresi con il loro carico, gettavano in mare gli schiavi, facendoli morire nelle acque dell’oceano.

Negrieri gettano in mare degli schiavi, dopo che la loro nave è stata avvistata dagli inglesi

La popolazione africana diminuì anche perché i negrieri catturavano soprattutto gli adulti, che potevano vendere più facilmente; rimasti in Africa da soli molti bambini, privi dei genitori, e molti anziani, privati dell’aiuto dei figli, morivano di fame e di stenti.

Un gruppo di bambini salvati dalla schiavitù dalla nave inglese “Daphne” al largo di Zanzibar (1869): l’episodio dimostra che in realtà si facevano schiavi anche i bambini

Sbarcati in America, gli schiavi venivano venduti e impiegati soprattutto nelle piantagioni: ad essi erano affidate le occupazioni più pesanti, come la raccolta e la lavorazione della canna per ottenere zucchero e rhum. I lavori a cui erano costretti erano spesso massacranti e le condizioni di vita molto dure. Solo gli schiavi domestici, che vivevano nelle case del proprietario e si dedicavano alla cura della sua persona, alla pulizia della casa o alla cucina, vivevano in condizioni migliori.

Schiavi africani sbarcano in America

Al lavoro in una piantagione di canna da zucchero

Tutti gli schiavi erano soggetti a punizioni, spesso molto pesanti, per qualunque motivo: per non aver lavorato abbastanza, per essersi allontanati senza permesso durante la notte, magari per andare a trovare altri schiavi in una piantagione vicina; per aver tentato la fuga.
I tentativi di fuga, in effetti, erano frequenti, ma per lo più inutili, perché non c’erano posti dove nascondersi e la caccia allo schiavo fuggiasco avveniva con cani addestrati allo scopo e con meticolosa ferocia: era un cattivo esempio per gli altri permettere a uno schiavo di scappare.

Schiavo fuggiasco braccato dai cani

Perciò quasi sempre gli schiavi venivano ripresi e duramente puniti, marchiandoli, frustandoli, mutilandoli o anche uccidendoli, per scoraggiare chiunque volesse fuggire. Nell’America meridionale però molti schiavi riuscirono a nascondersi nelle grandi foreste e a vivervi liberi, mentre nell’America settentrionale la fuga divenne possibile solo nell’Ottocento, quando gli schiavi che riuscivano a fuggire raggiungevano le zone in cui la schiavitù era stata abolita.

Marchiatura degli schiavi


Punizione di uno schiavo

Le condizioni di vita inumane provocarono a volte anche alcuni tentativi di rivolta, come successe già nel 1526 nella Carolina del Sud (una delle colonie inglesi dell’America settentrionale).

Rivolta di schiavi in Giamaica (1759)

Lavoro massacrante, maltrattamenti, punizioni provocarono un’alta mortalità tra i neri, per cui la richiesta di nuovi schiavi rimase sempre molto forte, anche perché gli schiavi avevano pochi figli. Spesso i coloni europei avevano figli mulatti dalle schiave nere.

Spagnolo con moglie nera e figlio mulatto

Intanto gli europei imparavano a conoscere meglio l’Africa, fondando alcune basi commerciali lungo le coste; queste basi servivano sia per il commercio degli schiavi, sia come punti di rifornimento lungo la rotta per le Indie. Gli europei però non si spinsero mai, prima dell’Ottocento, nell’interno del continente, che era poco accessibile, per la mancanza di grandi vie di comunicazione: infatti non vi erano strade; molti dei grandi fiumi non erano navigabili; montagne, deserti e fitte foreste costituivano altrettanti ostacoli che scoraggiavano le esplorazioni. Inoltre la prospettiva di venire alle prese con regni bellicosi e potenti faceva accantonare ogni progetto di conquista. Infine in Africa erano presenti malattie (malaria, febbre gialla), contro le quali gli europei non avevano anticorpi: ancora a metà dell’Ottocento circa la metà degli europei sbarcati in Africa occidentale morivano entro il primo anno di permanenza.

Un villaggio africano in un’illustrazione del 1799

Solo nel 1652 gli Olandesi fondarono una base stabile al Capo di Buona Speranza (la punta meridionale del continente), dove le condizioni climatiche erano abbastanza simili a quelle europee: i boeri (cioè i coloni olandesi che vi si stabilirono) diedero vita alla colonia africana con la più consistente popolazione europea.

Boeri di ritorno dalla caccia in un dipinto del 1804 di Samuel Daniell

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L'Africa e la tratta dei neri